sabato 15 maggio 2010

PdL, tre proposte per diventare il “Partito della Legalità”


PdL, tre proposte per diventare il “Partito della Legalità”
di Italo Bocchino


Probabilmente ha ragione il ministro Alfano quando dice che non c’è una nuova Tangentopoli in vista. Al momento non sembra infatti emergere un sistema che coinvolge partiti, correnti organizzate e singoli esponenti politici, come accadde all’inizio degli anni Novanta.
Allo stesso tempo, però, non si può derubricare tutto alla magica formula del “caso isolato”, perché la moltiplicazione di questi casi sta allarmando l’opinione pubblica. Se non c’è un sistema – e a nostro giudizio non c’è – si registra indubitabilmente un abbassamento del livello di etica pubblica che deve contrassegnare quella che Fini definisce la “buona politica”. E ci sono tanti – troppi – episodi di malcostume che al di là delle implicazioni penali e delle eventuali responsabilità dei singoli rischiano di allontanare gli italiani dalla politica.
In questi giorni gli italiani leggono e sentono di parlamentari privilegiati per l’acquisto dei biglietti della finale di calcio della champions league, di deputati che si lamentano perché vengono multati se prendono la corsia degli autobus e dei taxi e di chi addirittura propone un aumento di stipendio ai politici che fanno fino in fondo il loro lavoro per cui sono certamente ben retribuiti.
Si legge di richieste di arresti e di condanne per peculato, di accuse alla politica di collusione con la mafia in Sicilia, con la ‘ndrangheta in Calabria e con la camorra in Campania, di inchieste a Perugia, a Roma, in Sardegna, con il coinvolgimento di nomi altisonanti anche del Pdl.
Ogni giorno c’è un aggiornamento su liste di nomi nero su bianco o sussurrate nelle redazioni dei giornali e in Transatlantico. Il tutto dopo le dimissioni di Scajola dovute a una forte pressione dell’opinione pubblica e della stampa per la semplice ragione che il ministro non riusciva a spiegare quello che era accaduto in occasione dell’acquisto del suo appartamento romano.
Adesso, al di là delle responsabilità penali che spetta alla magistratura provare in un clima di garantismo assoluto, è evidente che c’è una deriva che richiede una risposta ferma, immediata, chiara ed evidente, anche e soprattutto da parte del Pdl in quanto primo partito italiano e partito locomotiva della coalizione di governo. Il Pdl dovrebbe approfittare di questa occasione per offrire una ulteriore e nuova lettura della sua sigla, divenendo con i fatti il “Partito della Legalità”, isolando eventuali responsabili di episodi dannosi per la sua immagine ed evitando che questi argomenti siano appannaggio della Lega nel centrodestra e dell’Italia dei Valori nel centrosinistra.
Per diventare il “Partito della Legalità” ci permettiamo di avanzare tre proposte. La prima è la sottoscrizione di un codice etico, sulla scorta di quello approvato dalla commissione Antimafia, per tutti gli eletti del Pdl in ogni assemblea e per quelli nominati in ogni società o ente su indicazione del partito. La seconda è l’adozione dell’anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati con la pubblicazione sul sito ufficiale del partito dei dati reddituali e patrimoniali di quelli che grazie al Pdl percepiscono un emolumento. La terza è l’accoglimento della proposta di Generazione Italia, che per prima ha chiesto di adottare un iter fulmineo per approvare il ddl anticorruzione, che va anche rimpolpato nei contenuti perché così com’è appare oggettivamente da migliorare.

Come costituire un circolo


Come costituire un circolo


Generazione Italia sta arrivando sul territorio, sia a livello regionale che provinciale.
Cliccando sul pulsante di FB, potrai accedere alle pagine regionali ufficiali di GI su Facebook.

Nel frattempo, se vuoi costituire un circolo, è necessario inviare una mail a territorio.generazioneitalia@gmail.com con le seguenti informazioni:
- elenco almeno 10 iscritti (con relativi dati: nome, cognome, luogo e data di nascita, indirizzo, mail)
- ricevute pagamento degli iscritti
- indicazione della tipologia di circolo:
- territoriale (es.: Generazione Italia – Circolo di Roma*)
- tematico (es.: Generazione Italia – Circolo di Milano sezione “Ambiente”, “Cultura”, “Giovani”, “Avvocati”, etc.)
- on line (es.: Generazione Italia – Circolo web di Napoli). In tal caso, è necessario inviare anche il dominio.
- Nominativo del Responsabile del Circolo e del Direttivo del Circolo (se previsto) con relativi riferimenti (nome, cognome, mail, cellulare, indirizzo).

I circoli dovranno essere approvati entro 45 giorni dal Coordinamento provinciale di GI o, in assenza di questi, dal Coordinamento regionale. Vige la norma del silenzio/assenso.


* NB: Sarà possibile costituire più circoli nello stesso Comune. Successivamente, i Coordinamenti provinciali e regionali emaneranno apposite direttive.

giovedì 13 maggio 2010

Il Comitato nazionale di Generazione Italia


Ecco il Comitato nazionale di Generazione Italia
di Gianmario Mariniello

Ne fanno parte i Deputati Giuseppe Angeli, Luca Barbareschi, Claudio Barbaro, Luca Bellotti, Italo Bocchino, Carmelo Briguglio, Antonio Buonfiglio, Benedetto Della Vedova, Aldo Di Biagio, Francesco Divella, Fabio Granata, Antonino Lo Presti, Roberto Menia, Silvano Moffa, Angela Napoli, Gianfranco Paglia, Carmine Patarino, Flavia Perina, Catia Polidori, Francesco Proietti Cosimi, Enzo Raisi, Giuseppe Scalia, Maria Grazia Siliquini, Mirko Tremaglia e Adolfo Urso; i Senatori Candido De Angelis, Egidio Digilio, Maria Ida Germontani, Giuseppe Menardi, Maurizio Saia e Giuseppe Valditara; gli Europarlamentari Cristiana Muscardini, Enzo Rivellini, Potito Salatto e Salvatore Tatarella.

Questa è la pagina del Comitato nazionale.

Il comitato nazionale di Generazione Italia ha nominato i responsabili regionali dell’associazione interna al Pdl. Lo riferisce una nota. In Abruzzo sara’ il vice presidente della giunta regionale, Alfredo Castiglione, in Basilicata il senatore Egidio Digilio, in Calabria la componente della Commissione Antimafia, Angela Napoli, in Campania l’europarlamentare Enzo Rivellini.
In Emilia Romagna il responsabile e’ Enzo Raisi. Nel Lazio il sottosegretario alla Politiche agricole, Antonio Buonfiglio. In Liguria l’ex parlamentare di Forza Italia, Enrico Nan. In Lombardia un team composto dal senatore Giuseppe Valditara, l’europarlamentare Cristiana Muscardini, l’assessore del Comune di Milano, Giampaolo Landi di Chiavenna, il deputato Benedetto Della Vedova e l’ex deputato di An Alberto Arrighi.
Nelle Marche il parlamentare Claudio Barbaro, in Piemonte il tandem composto dal senatore Giuseppe Menardi e Maria Grazia Siliquini. In Puglia Francesco Divella, in Sicilia il deputato Giuseppe Scalia, in Toscana Massimiliano Simoni, presidente della Fondazione Festival Pucciniano. In Umbria la deputata Catia Polidori e in Veneto il tandem composto da Luca Bellotti e dal capogruppo del Pdl in commissione Bilancio al Senato Maurizio Saia.

Generazione Italia cresce. Destinazione futuro.

UPDATE: PDL: FINI, CHI PENSA A IMBOSCATE NON HA CAPITO NULLA
”Chi pensa che il gruppo di parlamentari che si riconosce attorno alle questioni che io pongo possa avere come obiettivo quello di far cadere il governo, di tendere imboscate, di rendere piu’ difficile l’azione di governo, non ha capito assolutamente niente”. Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini, oggi pomeriggio, a Castiglion Fiorentino, nel corso di un incontro con esponenti locali di Generazione Italia, rispondendo ad alcune domande sui prossimi impegni parlamentari della maggioranza di governo. Il presidente della Camera e’ oggi nel paese aretino per prendere parte alla cerimonia d’inaugurazione della nuova sala consiliare del comune.
Fini aveva poco prima precisato che ”i deputati e i senatori che ritengono fondate alcune delle mie osservazioni hanno ben chiaro che il loro preciso dovere e’ quello di rispettare il programma che tutto il Pdl ha presentato al popolo italiano, perche’ a partire da me siamo stati eletti tutti sulla scorta di un programma e questo va rispettato”. (ANSA).

martedì 11 maggio 2010

Regolamento interno di Generazione Italia



Regolamento interno





FINALITÀ
1. Generazione Italia vuole essere un aggregatore intergenerazionale rivolto a tutti coloro che hanno voglia di impegnarsi per l’Italia, con un’attenzione particolare ai giovani che non vogliono limitarsi a subire il futuro del loro Paese ma hanno il coraggio e la passione di immaginarlo.

GLI ISCRITTI
2. Possono essere iscritti a Generazione Italia tutti i cittadini che non hanno precedenti penali per reati infamanti

3. E’ possibile iscriversi attraverso le modalità previste sul sito internet di Generazione Italia, all’indirizzo http://www.generazioneitalia.it/iscriviti-a-generazione-italia/

4. L’accettazione dei nuovi iscritti è effettuata entro 45 giorni dall’avvenuto pagamento dal Comitato nazionale, sentito il Coordinamento provinciale di Generazione Italia o, in assenza di questi, il Coordinamento regionale. Vige la norma del silenzio/assenso.

5. L’iscritto è tenuto al versamento della quota di iscrizione di 10€

I CIRCOLI
6. L’unità organica fondamentale di Generazione Italia è il Circolo.

7. Il Circolo può essere Territoriale, tematico od on line secondo quanto espresso di seguito:

a. Sono Circoli Territoriali quelli che operano su un territorio definito, quale il

rione, la circoscrizione, il comune, o su un territorio più vasto la cui individuazione

compete al Coordinamento Provinciale e deve essere ratificata dal

Coordinamento Regionale.

b. Sono Circoli tematici quelli che – nel territorio di un comune con più di

30.000 abitanti – fanno riferimento come distintivo elemento di aggregazione

a particolari ambiti sociali, professionali, culturali o economici.

c. Sono circoli on line quelli costituiti esclusivamente sul web. E’ necessario comunicare al Coordinamento nazionale il dominio del circolo on line.

8.Per costituire un circolo è necessario seguire tutte le disposizioni presenti sul sito, all’indirizzo http://www.generazioneitalia.it/come-costituire-un-circolo/

9. I circoli dovranno essere approvati entro 45 giorni dal Comitato nazionale, sentito il Coordinamento provinciale di Generazione Italia o, in assenza di questi, il Coordinamento regionale. Vige la norma del silenzio/assenso.

10. Per la costituzione di un Circolo Territoriale sono necessari almeno dieci iscritti.

11. Nel caso di più circoli esistenti nello stesso comune, sarà cura dei coordinamenti provinciali armonizzare attività, struttura e organizzazione dei circoli esistenti.

12. I Circoli, nel rispetto e nell’osservanza del progetto politico di Generazione Italia, dispongono di autonomia organizzativa e di azione politica.

13. I compiti di rappresentanza politica sul territorio sono di competenza del Circolo Territoriale.

14. I Circoli tematici esercitano la loro azione politica ed organizzativa esclusivamente nell’ambito specifico del loro progetto.

15. I circoli on line svolgono invece libera attività sul web.

16. Gli ambiti di esercizio dell’autonomia dei Circoli devono essere compatibili con l’idea di Generazione Italia, con i regolamenti e con le direttive politiche ed organizzative impartite dagli organi centrali e periferici.

17. I Circoli, sia Territoriali che tematici, fanno capo al Coordinamento provinciale.

18. Gli organi del Circolo sono liberamente scelti dal Circolo stesso.

GLI ORGANI POLITICI CENTRALI E PERIFERICI
19. L’azione politica, sociale e culturale di Generazione Italia è coordinata ed organizzata nei suoi organi centrali e periferici.

20. Sono organi centrali di Generazione Italia:

- Il Comitato Nazionale

- Il Coordinatore Nazionale

- La sotto Commissione Nazionale di Garanzia e dei Probiviri

21. Sono organi periferici di Generazione Italia:

- Il Coordinatore Regionale

- Il Coordinamento Regionale

- Il Coordinatore Provinciale

- Il Coordinamento Provinciale

- Il Circolo

22. L’utilizzo del simbolo di Generazione Italia è riservato a ciascuno degli organi sopra elencati nell’ambito e nei limiti dei compiti loro assegnati dal presente Regolamento interno.

IL CCORDINATORE NAZIONALE
23. Il Coordinatore Nazionale rappresenta Generazione Italia e ne promuove e dirige l’azione politica e organizzativa.

24. Il Coordinatore Nazionale ha il potere di deferire per mancanze disciplinari ogni iscritto agli organi competenti adottando anche, in attesa della decisione definitiva, provvedimenti immediati con effetti sospensivi da ogni attività.

IL COMITATO NAZIONALE
25. Il Comitato Nazionale elegge tra i suoi membri il Coordinatore nazionale.

26 Il Comitato Nazionale determina le linee dell’azione politica dell’Associazione e ne elabora gli orientamenti programmatici.

27. Il Comitato Nazionale è composto dai parlamentari aderenti a Generazione Italia.

ORGANI REGIONALI
28. Il Coordinamento Regionale, sulla base degli indirizzi generali di Generazione Italia, discute e definisce le linee dell’azione politica e le relative modalità di attuazione nell’ambito del territorio della Regione ed ha facoltà di formulare proposte agli organi centrali.

29. Fanno parte del Coordinamento Regionale, purché iscritti nell’ambito della Regione:

- Il Coordinatore Regionale

- I Coordinatori Provinciali;

- I Parlamentari Nazionali ed Europei, i Consiglieri o Deputati e Assessori Regionali;

- I Presidenti delle Regioni e delle Province, i Sindaci dei comuni delle città capoluogo o superiori a 15 mila abitanti e i Presidenti delle Circoscrizioni di decentramento comunale.

- I consiglieri e gli assessori provinciali;

- I consiglieri e gli assessori comunali dei comuni capoluogo di Provincia;

- I capigruppo consiliari dei comuni con più di 30 mila abitanti;

I Parlamentari Nazionali ed Europei partecipano altresì alle assemblee delle regioni incluse nella circoscrizione in cui sono stati eletti.

30. L’Assemblea regionale elegge, secondo apposito Regolamento, il Coordinatore Regionale e i membri elettivi del Coordinamento Regionale.

31. Al fine dello svolgimento dell’Assemblea regionale, il Comitato nazionale emana apposito regolamento.

32. Il Coordinatore Regionale promuove, coordina e controlla l’attività delle Coordinamenti provinciali al fine di mantenere l’unità di indirizzo politico del’associazione.

33. Il Coordinatore Regionale su proposta del Coordinatore Provinciale ratifica la costituzione dei nuovi Circoli. Per gravi e comprovati motivi – d’ordine politico e organizzativo – dei quali riferisce al Comitato Nazionale, ha facoltà di disporre su proposta del Coordinatore Provinciale lo scioglimento dei Circoli Territoriali o di ambiente.

ORGANI PROVINCIALI
34. Ai fini della elezione del Coordinatore e dei membri elettivi del Coordinamento provinciale, il Comitato Nazionale convoca l’Assemblea provinciale.

35. Al fine dello svolgimento dell’Assemblea provinciale, il Comitato nazionale emana apposito regolamento.

36. Il Coordinatore Provinciale promuove, coordina e controlla l’attività delle Circoli territoriali e ambientali al fine di mantenere l’unità di indirizzo politico del’associazione.

37. Il Coordinamento Provinciale propone la ratifica della costituzione dei nuovi Circoli.

38. Il Coordinatore Provinciale rappresenta Generazione Italia nel territorio di ogni provincia.

39. Il Coordinatore Provinciale presiede il Coordinamento Provinciale, che coadiuva il Coordinatore in tutte le sue funzioni. Tra i componenti il Coordinamento sono designati obbligatoriamente tutti i Presidenti dei Circoli di Generazione Italia presenti nella Provincia di riferimento.

L’AZIONE DISCIPLINARE
40. Si procede disciplinarmente a carico dell’iscritto:

a) che non osservi i doveri sanciti dai regolamenti interni

b) che tenga una condotta in contrasto con i principi dell’onore, della dignità e

del decoro personale;

c) che si sia reso indegno di appartenere all’Associazione per gravi comportamenti

antinazionali;

d) che sia stato condannato con sentenza definitiva per reati infamanti.

41. L’azione disciplinare è promossa dal Comitato Nazionale o dal Coordinamento Provinciale mediante deferimento alla sotto Commissione Centrale di Garanzia e dei Probiviri, alla quale è trasmessa contemporaneamente relazione sui fatti e motivi che la determinano.

42. Gli organi legittimati al deferimento ai sensi del precedente articolo possono disporre provvedimenti cautelari immediati compresa la sospensione provvisoria da ogni attività.

43. Le sanzioni disciplinari sono le seguenti:

a) censura;

b) espulsione.

NORME TRANSITORIE
Sino allo svolgimento delle Assemblee regionali e provinciali, che si terranno non prima di sei mesi dall’entrata in vigore del presente regolamento interno, il Comitato nazionale di Generazione Italia, nomina i Coordinatori e i coordinamenti regionali che a loro volta nominano i Coordinatori e i coordinamenti provinciali.

venerdì 7 maggio 2010

Quanti spifferi nel Pdl…



Quanti spifferi nel Pdl…
di Fabrizio Tatarella


Nel Pdl è scoppiato il finimondo perché Gianfranco Fini ha rivendicato il suo diritto a dissentire. Vuole creare una sua corrente, hanno gridato scandalizzati i cortigiani di Silvio Berlusconi.
Una novità per il Pdl? Assolutamente, no. Prima di La Russa e prima di Fini, il Pdl registrava già un nutrito elenco di correnti. Vediamo quali. Cominciamo dalle più antiche e strutturate, quella di Gianni Alemanno, raccolta intorno alla Fondazione “Nuova Italia”, quella di Maurizio Gasparri, raccolta intorno all’associazione “Italia Protagonista”, quella di Roberto Formigoni, con la fondazione “Europa e Civiltà” e quella di Lupi “Rete Italia”, vicine a Comunione e Liberazione.
Attive da anni, organizzano convegni, seminari e convention, radunando periodicamente iscritti e sostenitori da tutta l’Italia. Ad ognuna di queste correnti fanno riferimento parlamentari nazionali e europei, consiglieri e assessori regionali, amministratori e consiglieri comunali di ogni parte d’Italia. Ognuna di queste correnti raccoglie fondi e donazioni in proprio e esprime la sua, quanto si tratta di nomine e di incarichi di sottogoverno e negli enti locali e regionali.
Oltre queste, e come queste, si contano ancora: i “Promotori della Libertà” di Michela Brambilla e Bondi o “Taske Force Italia” di Frattini, Valducci, Straquadanio, correnti di stretta osservanza berlusconiana. Ancora Altero Matteoli con la Fondazione “Libertà per il bene comune”, Gianfranco Fini e Adolfo Urso con “Farefuturo”, Gaetano Quagliariello e Alfredo Mantovano con “Magna Charta”. Vi sono le correnti degli ex socialisti: quella di Renato Brunetta, con “Free Foundation”, quella di Fabrizio Cicchitto, con “Riformismo e Libertà”, quella di Stefania Craxi, con la Fondazione “Bettino Craxi”, fino a “Noi Riformatori” di Colucci. Ancora “I cristiano riformisti” di Mazzocchi, quella dell’ex socialdemocratico Carlo Vizzini, “Riformisti europei”, quella di Giulio Tremonti, con la fondazione “Respublica”, e quella di Giuseppe Pisanu, con la fondazione “Medidea”. Nessuno ha mai obiettato e protestato. Perché tanto clamore intorno a Gianfranco Fini?
Perché tanto scandalo intorno a “Generazione Italia”?

Perché io sto con Fini


Perché io sto con Fini
di Giuseppe Valditara

La direzione nazionale di giovedì 22 aprile ha rappresentato un punto di non ritorno: nel Pdl, e più in generale nella destra italiana, si è ufficialmente costituita una componente culturale che ha in Gianfranco Fini il suo principale interprete.

Fini ha posto innanzitutto un problema di democrazia all’interno del Pdl. E’ ovvio peraltro che la richiesta di maggiore democrazia e la possibilità di un dibattito all’interno del partito sono lo strumento necessario per affermare una certa visione della società italiana e un certo progetto politico.

Ma quale è dunque la identità di questa componente? Basta leggere un passo del Vangelo, Gv.8.12-19, per capire come sia decisiva, per il successo di un messaggio, la chiarezza degli obiettivi: “la mia testimonianza è vera perchè so da dove vengo e so dove vado”.

Se si ripercorrono con attenzione le dichiarazioni e le battaglie fatte da Gianfranco Fini in questi ultimi anni emerge un quadro coerente, che è a mio avviso l’essenza del “finismo”, è ciò per cui io mi considero convintamente un “finiano”.

Innanzitutto la centralità dell’idea di res publica, a cui si collega l’idea di nazione intesa come condivisione di valori fondamentali e desiderio di un futuro comune.

Da qui due conseguenze: il primato dell’interesse generale sugli interessi particolari e dell’idea di bene comune su quello dei singoli, così come la consapevolezza che la nazione non ha una identità etnica, ma ha un carattere essenzialmente culturale che si fonda su una scelta: io amo l’Italia, io merito l’Italia, perchè credo nell’Italia e in ciò che essa rappresenta. La nazione non come un fatto ineluttabile, aprioristico, ma come un atto di volontà.

Il secondo punto è una rinnovata e non qualunquista, non demagogica riproposizione della questione morale. Nessuno ha titoli per scagliare la prima pietra, ma così non si può più andare avanti, la res publica rischia di affondare sotto un tasso di illegalità diffusa che tocca trasversalmente ogni settore della società. La prima risposta concreta è dunque la centralità delle regole, la questione del primato della legge e del suo rispetto. Insomma la questione della legalità.

Con essa va di pari passo il rispetto verso le istituzioni, tutte le istituzioni, e un ruolo non certo secondario hanno le istituzioni rappresentative della sovranità popolare, a cui spetta fare le regole, innanzitutto il Parlamento, e la magistratura, che quelle regole deve far rispettare. Ovviamente una magistratura che sia messa nelle condizioni di allontanare da sè interpreti deviati, cancellando il correntismo e introducendo il principio di responsabilità al suo interno.

Ma se esiste un interesse generale della res publica e valori fondamentali comuni della nazione è evidente che occorre saper unire e non dividere, c’è bisogno di una politica che sappia ricomporre le fratture della società, che ristabilisca rapporti di collaborazione e di dialogo civile tra maggioranza e opposizione. Da qui la necessità che sulle regole fondamentali si proceda non per avvantaggiare una parte a danno dell’altra, ma per far sentire tutti partecipi di una casa comune.

E veniamo così alle riforme: di cosa ha bisogno la res publica?

Quale è il vero handicap che paralizza lo sviluppo? E’ quello che da almeno 15 anni a questa parte fa sì che l’Italia cresca meno degli altri Paesi. Certamente il debito pubblico.

E allora è chiaro che occorre finalmente avviare una grande, seria, coraggiosa politica di risanamento del debito pubblico che non può essere basata su provvedimenti occasionali, sui cosiddetti tagli lineari, ma su riforme strutturali, non a tutti costi popolari. Uno statista è quello che sa fare quelle riforme che servono al Paese, non necessariamente quelle che servono a vincere le elezioni. In questo contesto, pur riconoscendo l’importanza del federalismo fiscale, non è corretto rinviare ad esso ogni aspettativa di risanamento, perchè: 1) del federalismo fiscale non si conoscono ancora i costi, che probabilmente in una fase iniziale saranno elevati; 2) i suoi benefici si esplicheranno non prima di 5 anni e l’Italia non può aspettare 5 anni; 3) non risolverà nel breve periodo i problemi di risanamento e di competitività del Mezzogiorno, che non può continuare ad essere il “problema dello sviluppo italiano”.

Risanare il debito pubblico e avviare una sempre più efficace lotta all’evasione fiscale (l’altra grave emergenza della repubblica) per poi che fare?

Essenzialmente tre cose, che devono essere avviate prima del termine della legislatura, stanno infatti nel programma che legittima la nostra presenza in Parlamento:

1) abbassare le tasse sulle famiglie, sulle imprese, sulla casa;
2) investire in ricerca e istruzione;
3) investire nella lotta alla criminalità, innanzitutto per liberare dal cancro opprimente delle mafie intere aree della penisola, che non cresceranno finchè l’economia sana sarà sottoposta al giogo del ricatto criminale.

Più in generale occorre ripartire dal programma del Polo delle libertà del 1994, quel programma che non è stato ancora pienamente attuato. Bisogna dunque innanzitutto avviare una grande stagione di liberalizzazioni, che non renda più opprimenti quei lacci e lacciuoli che paralizzano la vita di ognuno e che nessuno finora ha avuto la capacità di sciogliere in modo radicale semplificando realmente la vita del cittadino.

Infine la certezza della pena. Si è parlato tanto di giustizia e di rapporti fra politica e giustizia, forse se ne è parlato troppo; si è parlato troppo poco di ciò che più interessa al cittadino: che i delinquenti una volta condannati vadano in galera e ci restino.

In questo contesto anche la politica, che richiede esperienza e competenza, e non improvvisazione, deve tornare ad essere credibile iniziando dalle candidature, e dalle nomine, evitando di dare l’impressione che ci sia una casta di oligarchi che promuove solo chi fa comodo, chi è in vario modo compiacente o personalmente utile e non chi può ben rappresentare gli interessi generali degli elettori e le esigenze di una buona amministrazione.

E così si tocca il tema centrale della riforma della legge elettorale che consenta finalmente ai cittadini di scegliere chi li deve rappresentare, senza peraltro scadere in quella compravendita di voti che è tipica del sistema delle preferenze. Ma si tocca anche il tema della occupazione politica delle società ancora controllate dagli enti locali e quello, spesso collegato, dei doppi o meglio dei plurimi incarichi della politica. Dunque sono necessarie privatizzazioni reali e non mascherate, innanzitutto per recidere le unghie ad un moderno feudalesimo che continua a gestire in modo clientelare anche l’economia e basta con i parlamentari che fanno i presidenti di provincia e i sindaci di importanti comuni o con gli amici degli amici che occupano numerose poltrone in cda di enti pubblici.

Questi sono i temi messi sul tavolo della politica italiana dal “finismo”, che a me piace chiamare destra repubblicana: se avranno legittimità all’interno del Pdl ne contribuiranno a ridare slancio e centralità, anche nel delicato rapporto con l’alleato leghista. In ogni caso dopo il 22 aprile hanno avuto una loro rappresentanza ufficiale all’interno della destra italiana e non sarà più possibile ignorarli.

: centrodestra, Direzione nazionale, Gianfranco Fini, legalità, partito, Pdl, riforme, valori

giovedì 6 maggio 2010

Da oggi è finalmente possibile aderire a Generazione Italia


Da oggi è finalmente possibile aderire a Generazione Italia
di Gianmario Mariniello

E’ facilissimo, basta cliccare sull’apposito banner.

Il sistema PayPal è semplice, veloce e trasparente. Idem il bonifico bancario: non saranno possibili “pacchetti di tessere”. L’adesione è individuale, spontanea e libera.

Stesso dicasi per i circoli, che potranno essere formati liberamente da non meno di dieci iscritti a Generazione Italia.

Se vuoi costituire un circolo, è necessario inviare una mail a territorio@generazioneitalia.it o territorio.generazioneitalia@gmail.com con le seguenti informazioni:

- elenco almeno 10 iscritti (quota minima per costituire circolo)

- ricevute pagamento degli iscritti

- indicazione della tipologia di circolo:

- territoriale (es.: Generazione Italia – Circolo di Roma*)
- tematico (es.: Generazione Italia – Circolo di Milano sezione “Ambiente”, “Cultura”, “Avvocati”, etc.)
- on line (es.: Generazione Italia – Circolo web di Napoli). In tal caso, è necessario inviare anche il dominio.

- nominativi del Coordinatore e del Direttivo del Circolo (se previsto) con relativi riferimenti (nome, cognome, mail, cellulare, indirizzo).

I circoli dovranno essere approvati entro 45 giorni dal Comitato nazionale, sentito il Coordinamento provinciale di Generazione Italia o, in assenza di questi, il Coordinamento regionale. Vige la norma del silenzio/assenso.

Nei prossimi giorni pubblicheremo i nomi del Comitato nazionale di Generazione Italia, che a sua volta nominerà i Coordinatori e i coordinamenti regionali che a loro volta nomineranno i Coordinatori e i coordinamenti provinciali.

Inoltre sarà pubblicato nei prossimi giorni il Regolamento interno di Generazione Italia, che disciplinerà la vita interna a GI.

PS: queste sono disposizioni organizzative provvisorie. A breve pubblicheremo sul sito il Regolamento interno.
* NB: Sarà possibile costituire più circoli nello stesso Comune. Successivamente, i Coordinamenti provinciali e regionali emaneranno apposite direttive.

Serve una scossa dal territorio. Per rafforzare il Pdl


Serve una scossa dal territorio. Per rafforzare il Pdl
di Sofia Ventura


Ieri, con un’intervista a “Il Giornale”, il Ministro del Turismo Maria Vittoria Brambilla, in particolare nella sua funzione di responsabile delle Iniziative Movimentiste (sic!) del Pdl è intervenuta sul tema del ruolo di circoli, movimenti e correnti. Naturalmente, al Ministro Generazione Italia non piace e questo non sorprende. Ritiene anche che il ricorso a Internet costituisca un’imitazione di quanto già fatto con successo da Berlusconi, e magari si potrebbe sommessamente rammentare che la rete costituisce già da tempo uno strumento ampiamente utilizzato in politica, si potrebbero ricordare Ségolène Royal, Nicolas Sarkozy, Barack Obama, il fenomeno del grillismo, eccetera, eccetera. Ma non è questo il punto che più ci interessa.

Ciò che più di rilevante si trova nell’intervista del Ministro è costituito dalla sua breve spiegazione del ruolo dei Promotori della Libertà. Brambilla parla di un “movimentismo ufficiale” che risponde direttamente al leader del partito Berlusconi ed è affidato per la sua organizzazione a Ministri del governo. I Promotori della libertà vengono indicati come strumento per “allargare e radicare sul territorio il consenso del Pdl”. Eppure, è chiaro che si tratta di una struttura parallela al partito che, direttamente a disposizione del leader, può mettere sotto pressione il partito (e sappiamo del malcontento che nel Pdl tale struttura suscita) e può consentire un’azione “a prescindere” dal partito. Ma tale “movimentismo” indotto e controllato dall’alto non contribuisce a rivitalizzare e articolare in modo più compiuto il partito al suo interno. Esso, piuttosto, riflette una concezione della politica, non solo centrata sul leader (e su questo nulla di strano, siamo di fronte ad una tendenza generalizzata nella politica occidentale), ma che non riconosce le importanti funzioni che i partiti politici possono e devono svolgere anche in un contesto di politica “presidenzializzata”, dal reclutamento all’elaborazione delle politiche. Una concezione che attribuisce al leader una sorta di potere “assoluto” e tende a concepire l’organizzazione-partito come qualcosa di fluido, che può essere plasmato e riplasmato di continuo, per impedire che si creino spazi non direttamente controllati dall’alto. In poche parole, una concezione che vorrebbe perpetuare all’infinito le dinamiche dei partiti carismatici “puri” (ma sappiamo che questi partiti se rimangono tali sono destinati a scomparire con il leader fondatore), senza procedere ad alcuna istituzionalizzazione.

Non dubitiamo che questa visione crei gli entusiasmi del Ministro Brambilla e di quanti ancora non hanno voluto cominciare ad immaginare per il Pdl una vita “propria”, ma per chi crede che anche il futuro conti, è necessario continuare a porre all’ordine del giorno il tema di cosa sarà, e come sarà organizzata, la destra italiana negli anni a venire.

In Italia venti anni di istruzione perduta


In Italia venti anni di istruzione perduta
di A. Asoni e F. Monte *

Tra le ragioni che spiegano il benessere economico di cui beneficiamo vi è l’accumulazione di capitale umano, ovvero di conoscenza teorica e pratica, da parte di ognuno di noi. Parte di questa conoscenza deriva da quello che impariamo sul posto di lavoro; il resto ci viene dall’istruzione formale ricevuta a scuola. Con questo articolo iniziamo una serie di interventi volti ad analizzare la situazione italiana; in particolare ci concentreremo sull’istruzione universitaria.

Il grafico mostra il livello di istruzione universitaria in diverse coorti della nostra popolazione rispetto ad alcuni altri paesi dell’OCSE: i markers di diverso colore indicano la frazione di popolazione tra 25 e 34 anni con un titolo di studio universitario. Ad ogni colore corrisponde un diverso anno. Per esempio nel 2006 in Italia quasi il 20% dei giovani tra 25 e 34 anni ha una laurea. Il paese che fa meglio nel 2006 è il Canada dove la percentuale di laureati arriva quasi al 60%.

Il quadro per l’Italia è veramente desolante. Ci troviamo al quartultimo posto nel 2006 (tra tutti i paesi OCSE, non solo quelli riportati). Facciamo meglio solo di Turchia, un paese con un PIL pro capite poco sopra ad un terzo di quello italiano, di Repubblica Ceca e Slovacchia. Purtroppo questo non è un fenomeno recente: il nostro paese ha fatto sistematicamente peggio di quasi tutti gli altri paesi sin dal 1968 (primo anno per cui abbiamo i dati). È interessante notare come i paesi di cultura anglosassone (Canada, Stati Uniti, Irlanda, Gran Bretagna) siano invece ai primi posti o comunque sopra la media. La Corea del Sud, di cui abbiamo parlato nel nostro primo articolo, cominciava al nostro stesso livello; oggi primeggia.

Vi è un secondo dato da sottolineare. La crescita nei livelli di istruzione nel tempo è un fenomeno generalizzato. L’Italia in questo senso non fa eccezione, tranne in un punto: tra il 1976 e 1998 la porzione di giovani con un titolo universitario è cresciuta pochissimo. I due punti sul grafico sono quasi impossibili da distinguere. Un “ventennio perduto” nel quale la posizione relativa dell’Italia rispetto a paesi come la Francia, la Svezia o il Belgio è peggiorata notevolmente. Se avessimo avuto una crescita paragonabile a quella della Grecia o della Spagna oggi saremmo intorno alla media europea invece che tra gli ultimi quattro.

E’ interessante accostare questo risultato a quello presentato in un precedente articolo: è proprio nello stesso periodo che l’Italia ha smesso di convergere verso paesi più ricchi.

Quale è la causa del nostro “ventennio perduto”? Ovviamente molte sono le ragioni dietro la nostra arretratezza, e non possiamo certo discuterle tutte. Per capirne meglio la dinamica però possiamo anzitutto interrogarci sulle ragioni individuali dell’accumulazione di capitale umano. Il premio nobel per l’economia Gary Becker (1964) ha dato un contributo fondamentale alla comprensione di questo problema. Accumulare conoscenza è come investire in capitale fisico: richiede un costoso investimento iniziale che inizierà a produrre un flusso economico positivo solo nel futuro.

I costi dell’investimento sono di due tipi: diretti, come il costo della retta universitaria (che in Italia in ogni caso è sussidiata dalla collettività), e indiretti, come gli stipendi a cui si rinuncia per andare all’università. Invece di frequentare l’università un potenziale studente potrebbe iniziare a lavorare e guadagnare sin da subito dopo le scuole superiori; questi mancati guadagni devono essere inclusi tra i costi della sua istruzione.

I benefici dell’investimento ovviamente sono i maggiori guadagni che un laureato ottiene in media rispetto ad un non-laureato. Una teoria completa include infine tra i benefici anche l’eventuale maggiore utilità che lo studente trae dalla vita universitaria rispetto al lavoro e dalle diverse caratteristiche dei lavori che potrà fare (a parità di stipendio, alcune attività sono più gratificanti di altre; questo ovviamente varia da individuo a individuo). La teoria economica del capitale umano dice che un individuo deciderà di andare all’università se i benefici attesi dall’istruzione universitaria sono maggiori dei costi.

Questa teoria ci suggerisce che per capire cosa sia successo in Italia dobbiamo guardare ai costi e ai benefici dell’educazione universitaria. Questo è ovviamente un argomento vastissimo. In questo articolo vorremmo solo fare riferimento ad un dato già riportato in un articolo precedente: la pressione fiscale in Italia è aumentata notevolmente (dal 34% al 46% del PIL) nel ventennio di cui ci stiamo occupando. Un aumento della pressione fiscale, soprattutto se attuata attraverso un aumento delle aliquote fiscali più alte, è a tutti gli effetti un aumento della pressione fiscale sul capitale umano e ne scoraggia l’accumulazione.

Una misura di politica economica utile ad incentivare l’accumulazione di capitale umano e promuoverne gli effetti benefici su ricchezza e produttività nazionale sembrerebbe dunque essere la diminuzione della aliquote marginale sui redditi più alti.

* Andrea Asoni e Ferdinando Monte sono entrambi Ph.D. Candidates presso la University of Chicago e autori del blog www.ideemarginali.org

mercoledì 5 maggio 2010

Lo “scontro” Fini-Cav.? Colpa della Lega, secondo gli elettori del Pdl


Lo “scontro” Fini-Cav.? Colpa della Lega, secondo gli elettori del Pdl
di Gianmario Mariniello


Come ha scritto Luigi Crespi, “L’ultima volta che ho incontrato Gianfranco Fini gli ho detto di non credere nei sondaggi e per uno che li vende sembra una contraddizione di termini, ma solo in apparenza. Non credo nel sondaggio come profezia capace di auto inverarsi, troppo imprecisi e approssimativi. I sondaggi non possono sostituirsi alla politica ma ricordiamoci che i sondaggi esistono solo nei paesi democratici, non sono la democrazia ma un suo sintomo. Io uso sondaggi, ma non sono un totem, rappresentano uno degli strumenti per capire ed interpretare oltre che verificare il flusso articolato della percezione collettiva”.

E per cercare di capire – non per farci imporre una “linea” – utilizziamo anche l’ultimo sondaggio realizzato da Crespi Ricerche in esclusiva per Generazione Italia.

Questo sondaggio ci dice che gli italiani stanno dando sempre più ragione a Gianfranco Fini: il vero motivo dello “scontro” tra il Presidente della Camera e Silvio Berlusconi è il rapporto del Pdl con la Lega e l’eccessivo peso del Carroccio nelle politiche del Governo. Un sentimento costantemente in crescita, specie tra gli elettori del Pdl.

Le responsabilità dello “scontro” sono ripartite equamente. Un tendenziale favorevole a Fini, al quale inizialmente gli elettori del Pdl attribuivano maggiori responsabilità. Oggi, il Cavaliere e il Presidente della Camera sono alla pari.

Gli elettori del Pdl si sentono sempre più vicini a Berlusconi (62,8%), ma Fini recupera sette punti percentuali. Mentre l’ex leader di AN “sfonda” nella totalità dell’elettorato, con un + 13% rispetto al Presidente del Consiglio.

La separazione dei due leader è data sempre meno per certa dagli elettori del Pdl. La “scissione” era data per sicura da più di 6 elettori del Pdl su 10, dopo la Direzione Nazionale. Oggi questo dato è sceso (seppur di poco) a quota 55,4%.

In caso di elezione diretta del Presidente della Repubblica, Fini darebbe 9 punti di distacco a Berlusconi. Il sondaggio, riferito ai soli elettori del Pdl, segna invece un +19% per il premier.
Fini è ritenuto più “credibile” e “onesto” dagli elettori del Pdl. Che ritengono Berlusconi invece più “simpatico”, “innovatore” e “concreto”. Nulla di nuovo.

Un eventuale partito di Fini è dato invece tra l’8 e il 10 per cento. Cifre più che raddoppiate in nemmeno un mese.

Infine il “caso” degli ultimi giorni: per il 45,6% degli elettori del Pdl, Italo Bocchino è stato “epurato”. Un dato che sale al 50,4% se ci si riferisce alla totalità dell’elettorato. Un giudizio, insomma, condiviso da tutti gli italiani.

Leggi il sondaggio in pdf

lunedì 3 maggio 2010

Noi, generazione post-ideologica affamata di politica. Quella vera.


Noi, generazione post-ideologica affamata di politica. Quella vera.
di Giuseppe Tatarella

E’ assolutamente vero, le ideologie non esistono più. E la politica? Per chi, come me, è nato negli anni ottanta, molte cose non sono chiare. Sappiamo che c’è stata Tangentopoli, la fine della seconda repubblica, la discesa in campo di Berlusconi, il centro-destra, le vittorie e le sconfitte.

Semplice, prima si perdeva sempre. Ora si vince e si perde, c’è “l’alternanza”. Tutto qui?

Non credo proprio, spesso mi sono trovato a dibattere di questi temi con i miei coetanei, di ogni provenienza politica, giungendo alla conclusione più vera. Noi abbiamo una visione parziale dei fatti, e in base a quella facciamo analisi, discutiamo e traiamo delle conclusioni.

Andiamo per ordine; è vero, non abbiamo una formazione ideologica predefinita, la società è continuamente in evoluzione e i tempi della globalizzazione sono sempre più veloci. Ma, qualcuno ha pensato alla nostra formazione politica?

Si parla spesso e a vanvera di future classi dirigenti, di nuove generazioni alle quali affidare le sfide future. Perfetto, ma chiediamoci anche se queste sono pronte a raccoglierle. Abbiamo partecipato ad un fenomeno credo irripetibile della politica italiana: partiti, prima esclusi dall’arco costituzionale, che si trasformano e costruiscono una alternativa, un leader carismatico, che fonda un partito con un messaggio in tv; ci riesce e vince pure. Ma noi siamo stati solo comparse di questo spot. La politica, in questi anni di assestamento, per noi è mancata; abbiamo partecipato si, ma a volte ci sembrava di tifare solo per una squadra di calcio ed il suo centroavanti. Siamo una generazione autodidatta, chi vuole saperne di più faccia da solo. Televisione, internet, giornali, dibattiti c’è tutto. Ma basta davvero?

Tendenzialmente abbiamo la nostra idea, sappiamo da che parte votare, insomma, ma a volte non capiamo cosa differenzia chi vota Berlusconi dal coetaneo che non lo fa. Oltre non andiamo. Manca, a mio modo di vedere, una vera formazione, fatta di contenuti, che solo un partito politico ti può dare, e coadiuvata da quella tensione morale che solo i valori veri possono provocare. Mancano le prove d’orchestra, e il direttore, sempre presente e pronto a correggere le note stonate. Certo, il talento c’è, la volontà anche, ma se non troviamo chi ci guida in questo percorso, l’esibizione improvvisata e spontanea, senza una disciplina e una direzione, porterà sicuramente a fare parecchie stonature.

Spesso siamo accusati di avere la testa fra nuvole, di pensare solo alla bella vita, circondati dai vizi e dalle comodità e, per questo, di non appassionarci alla politica. Tutto il contrario, è la politica che non riesce più a comunicare con noi, a coinvolgerci; di conseguenza occupiamo il tempo libero come meglio ci capita, ma con l’orecchio comunque teso ad ascoltare le ultime notizie. Siamo quella generazione sopita, che da anni sente dire alla politica che “presto toccherà a noi”, ma che comincia a non crederci, vedendo sempre le stesse facce da una ventina d’anni.

Non vogliamo poltrone, vogliamo solo spazi di passione, dove esprimerci e contagiare come un virus benefico tutto ciò che ci circonda. La società può anche mutare, ma i giovani avranno sempre la voglia di cambiare. Siamo quelli del Berlusconi si, Berlusconi no, ma siamo soprattutto una generazione affamata di Politica, di cui abbiamo sempre e solo sentito parlare in TV.

domenica 2 maggio 2010

L’articolo 49 della Costituzione e la riforma dimenticata dei partiti


L’articolo 49 della Costituzione e la riforma dimenticata dei partiti
di Carmelo Briguglio


Politica e “tragedia” come rappresentazione furono inventati insieme dai Greci, per darsi dei limiti, delle regole. Insomma hanno una comune origine. In queste settimane sta andando “in scena” una serie concatenata di eventi che, depurati dai loro aspetti di superficie, ci vogliono dire qualcosa.

Precisamente questa. Nel grande dibattito sulle riforme ne avevamo dimenticato una, forse anteriore per necessità a tutte le altre: la riforma dei partiti. Ed essendo stata dimenticata e messa da parte dall’alta ingegneria istituzionale e dal gioco perverso del costituzionalismo comparato, ha deciso da sola di fare irruzione nel teatro della politica (che non è il teatrino). Ha scelto due protagonisti Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi, e ha assegnato a un attore più giovane, Italo Bocchino, quello di “vittima” necessaria per dare il senso della posta in gioco.

Se non comprendiamo questo non capiremo il significato che gli eventi, politici e “drammatici, di questi giorni ci vogliono indicare e disvelare. Prima ancora di discettare di forme di governo, di federalismo, di repubblica presidenziale e semipresidenzialismo, l’Italia ha bisogno di una riforma della politica che passa essenzialmente per la riforma dei partiti. Se non si farà entrare nell’agenda delle riforme questo grande tema, tutti gli sforzi saranno inutili. O si penserà a pericolose scorciatoie, come quella inserita incautamente nel documento politico finale nella Direzione del Pdl, che evoca principi e prassi sul legame tra Capo e popolo che hanno qualche familiarità certamente involontaria, più con il Fuhrerprinzip e il libretto rosso di Mao che con la Costituzione italiana.

Gli amici Sandro Bondi e Gaetano Quagliarello sanno di che cosa parliamo. La nostra Costituzione appunto. Alla Carta bisogna tornare per rilanciare un dibattito delle idee ora immiserito da aggressioni mediatiche e da una bruta prassi interna. L’articolo 49: ”Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Per noi l’attuazione o anche l’innovazione di questa parte della Costituzione della Repubblica è una riforma essenziale, è la madre di tutte le riforme. Un’idea che lanciamo come sfida positiva nel Pdl e a tutte le forze politiche del Paese.

Chiariamo subito che il “metodo democratico” deve riguardare l’interno e l’esterno dei partiti. Vuol dire una legge ordinaria o una modifica della Costituzione che ponga limiti, regole, garanzie, metodi ai partiti e nei partiti. Sul rapporto tra elettori ed eletti, sulle candidature, sul finanziamento e i costi della politica, sui diritti degli iscritti e sui doveri della classe dirigente. Parliamo della riforma della nostra democrazia politica. Una riforma necessaria. La madre di tutte le riforme. Per scoraggiare qualunque tentazione plebiscitaria offerta “al popolo” magari “in nome del popolo”. E interrompere la linea progressiva del distacco rassegnato dei cittadini dalla politica.

Una regola delle regole necessaria per aiutare la politica a incidere sulla propria carne. Come è ormai necessario.

sabato 1 maggio 2010

Ecco perché ho deciso di stare con Fini


Ecco perché ho deciso di stare con Fini
di Salvatore Tatarella


Perché stai con Gianfranco Fini? La domanda è ricorrente e mi viene rivolta pubblicamente, ma anche privatamente. Provo a rispondere. Il motivo principale è assai semplice. Fini, e solo lui, sta pensando al futuro del centrodestra. La cosa è assai importante, perché la vulgata che, invece, si è inteso far passare è che Fini stia pensando solo al suo futuro politico. Si è pentito di fare il presidente della Camera, cerca solo più spazio, è geloso di Silvio Berlusconi, vuole fare le scarpe al Cavaliere, e altre amenità di questo tipo. La verità è esattamente all’opposto. Da quello che sta facendo in questi mesi, Fini personalmente può ricavarne solo danni e svantaggi.

Consapevolmente li ha già messi in conto e, con serenità e lungimiranza, sta lavorando per tutti noi, anche per quelli, che – alcuni assai stoltamente – lo stanno contestando. Ciò che soprattutto differenzia Fini da Berlusconi sta nell’idea della destra. Il primo pensa che la destra, come preesisteva a Berlusconi, così resisterà alla sua scomparsa. Il secondo, invece, pensa che la destra coincida con il suo ciclo politico e che, essendo nata con lui, finisca anche con lui. Da questa impostazione derivano come corollari altri concetti, come la identificazione del leader nel popolo, dal quale soltanto riceve la legittimità, il partito plebiscitario, senza strutture organizzative e territoriali, l’unicità del pensiero politico, che non ammette diversificazioni e tantomeno opposizioni, la selezione della classe dirigente per nomina dall’alto, anziché per elezione dal basso.

Quanto una concezione siffatta sia compatibile con i valori, i principi, lo statuto e la prassi del Partito popolare europeo, sinceramente, è tutto da verificare. Di questo Fini è consapevole e, non da oggi, cerca di dare a se stesso e a tutto il Pdl un profilo meno plebiscitario, più democratico e più conforme alla casa madre del Ppe. Insieme a questa ragione, che ne è l’architrave, ci sono poi altre motivazioni, che vanno dalla difesa dell’unità nazionale, ad una maggiore attenzione per la questione meridionale, dall’etica della responsabilità alla difesa della legalità senza se e senza ma, dalla solidarietà verso i più sfortunati alla tutela delle giovani generazioni, dal diritto al lavoro alla valorizzazione del merito, e altro ancora.

Se queste, però, sono le ragioni politiche di fondo per le quali sto con Fini, ve n’è anche un’altra, che definirei solidaristica. Da alcuni mesi Gianfranco Fini è vittima di un crescendo assordante di attacchi personali, volgari, beceri e meschini, che molto ricordano da vicino le campagne di delegittimazione e demolizione personale, utilizzate da un certo Giuseppe Stalin contro i suoi avversari interni, prima di finirli nei lager siberiani o davanti a un plotone di esecuzione. Ecco, questo trattamento para stalinista, in atto da mesi, mi ha indignato non poco e confesso che, anche in assenza di una valida ragione politica, mi avrebbe, da solo, portato a schierarmi con Fini. Romanticamente e per solidarietà umana e politica, sebbene, in tanti anni, da Gianfranco abbia ricevuto più dimenticanze che attenzioni. Mi sorprendo ancora, e non me ne do ragione, come analogo sentimento non abbia albergato nell’animo e nelle coscienze di altri cari amici, che, evidentemente, col tempo, insieme alle posizioni, hanno anche cambiato le loro coscienze.