venerdì 30 aprile 2010

Che fine ha fatto il ddl anti-corruzione?


Ddl anti-corruzione

Che fine ha fatto il ddl anti-corruzione?
di Gianmario Mariniello


Solidarietà a Claudio Scajola, innanzitutto. Dimostrerà la sua estraneità rispetto all’inchiesta di Perugia. A questo punto, però, il Governo per rilanciare la sua immagine deve accelerare l’iter del ddl anticorruzione, che sarebbe stato approvato il 1° Marzo scorso, pur tra qualche polemica all’interno dell’Esecutivo guidato da Silvio Berlusconi.

Il disegno di legge aumentava l’elenco dei reati che facevano scattare automaticamente l’istituto dell’ineleggibilità, sia negli Enti locali che in Parlamento. Venivano inasprite le sanzioni per i reati contro la pubblica amministrazione. E poi c’era il “fallimento politico”, ovvero l’ incandidabilità specifica dei Presidenti di Regione che avevano lasciato l’Ente sommerso dai debiti. Con una norma del genere, tanti Governatori non si sarebbero potuti ricandidare, sian nel 2010 che nel 2005. C’era poi il Piano nazionale anticorruzione, con tanto di Osservatorio sulla corruzione e gli altri reati contro la Pubblica Amministrazione. Una correzione di rotta dopo la soppressione (Dl 112 art. 68 c. 6.) dell’Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all’interno della pubblica amministrazione. Infine, c’erano tutta una serie di norme che favorivano la trasparenza in materia di appalti, contributi e assunzioni. Con tanto di Elenco di fornitori e imprese subappaltatrici presso ogni prefettura, di Banca dati nazionale dei contratti pubblici. E infine, tutte le informazioni sarebbero state messe on line, compresi i contratti stipulati per le situazioni di emergenza. E, infine, era prevista anche l’Acquisizione d’ufficio delle comunicazioni antimafia. Una rivoluzione della legalità, insomma.

Il ddl aveva ricevuto un plauso bipartisan, persino dai “bastian contrari” dell’Idv. Quasi un evento. Salutato con favore dal Presidente della Camera, Gianfranco Fini.

Bene, bravi, bis. Ma c’è un però. Dove è finito questo bellissimo e bipartisan ddl anticorruzione? Nessuno lo sa. Qualcuno lo tiri fuori dai cassetti e lo porti in Parlamento. E sia approvato in tempi rapidissimi, magari con il consenso dell’opposizione. Sarebbe un segnale fortissimo che Governo e Pdl darebbero al Paese. Un segnale di legalità. Perché chi sbaglia deve pagare. Specialmente quando sbaglia a spese di tutti gli italiani.

giovedì 29 aprile 2010

ON.Italo Bocchino:Il perché delle mie dimissioni irrevocabili


Il perché delle mie dimissioni irrevocabili
di Italo Bocchino


Stamattina alle 9 ho rassegnato le mie dimissioni. Irrevocabili. È stato un atto dovuto, dopo le polemiche degli ultimi giorni. Il mio desiderio più grande è quello di sgombrare il campo da ogni possibile equivoco. Se ero io il problema del Pdl, oggi il problema non c’è più. Faccio un passo indietro. Farò il Vice Presidente “semplice” del Pdl, sarò uno degli 11 vice e continuerò a lavorare per un Pdl diverso da quello attuale.

Non è accettabile che il Presidente del Consiglio chieda la mia testa solo perché ho avuto l’ardire di partecipare a una trasmissione televisiva (Ballarò). Con l’aggravante che avrei rappresentato la “minoranza” del Pdl davanti a milioni di telespettatori. Obama, Merkel, Sarkozy non avrebbero mai nemmeno lontanamente immaginato di fare una cosa del genere.

Non è accettabile che chi ponga in discussione un sistema fondato su un centralismo carismatico che non ha eguali in Occidente, debba essere cacciato o costretto ad andare via. Non è questo il Pdl che sognavamo. Non è questo il Pdl che volevamo e che vogliamo. Un partito che deve essere necessariamente la sintesi delle varie sensibilità e differenze che compongono quel popolo della Libertà che va ben oltre il 38% dei voti che abbiamo preso alle ultime politiche.

Il problema di Silvio Berlusconi è che non riesce a comprendere le dinamiche connaturate a un partito democratico. Un partito liberale di massa deve essere innanzitutto plurale e liberale al proprio interno. Senza liste di proscrizione.

Per difendere la democrazia interna, per difendere l’idea di partito plurale e liberale fui costretto a dire “no” al Presidente Berlusconi quando mi chiese (per usare un eufemismo) di non andare a Ballarò.

Silvio Berlusconi deve capire che chi viene da una storia politica antica, non ha paura delle epurazioni. Non ha paura di esporre in pubblico determinate tesi anche se non condivise. Noi non abbiamo paura. Il partito da cui provengo ha vissuto l’esclusione dall’Arco costituzionale. Ma siamo andati avanti. La mia, la nostra storia ci impone di andare avanti.

Non sono solo. Sono tanti i parlamentari del Pdl che ci esortano ad andare avanti. Lo fanno in privato, in silenzio. Il Pdl sta diventando il partito della paura, altro che partito dell’amore. Forse Silvio Berlusconi ha portato alle estreme conseguenze una famosa frase del Principe di Machiavelli: “Dal momento che l’amore e la paura possono difficilmente coesistere, se dobbiamo scegliere fra uno dei due, è molto più sicuro essere temuti che amati”. Dopo la “profonda gratitudine” al Capo del popolo, abbiamo scoperto che il Pdl si regge sulla regola del “colpirne uno per educarne cento”. Mi dispiace, ma noi vogliamo un partito della Libertà. Quella vera.

Fini vuole un Pdl diverso. Per guardare al futuro


Fini vuole un Pdl diverso. Per guardare al futuro
di Generazione Italia

Un Gianfranco Fini a tutto campo quello che abbiamo visto ieri sera a “Porta a Porta”. Fini ha dimostrato di avere idee chiare: vuole che il Pdl abbia una propria bozza di riforma delle Istituzioni, senza dover rincorrere “piè veloce” Calderoli. Una bozza che deve arrivare alla fine di un discorso all’interno del partito. Fini ha dimostrato di avere un’idea di partito che altri – tanti – non hanno. Il Pdl deve discutere, trovare sintesi e avanzare proposte chiare. È questa l’idea di partito che Fini ha in testa. Un partito visto come strumento di mediazione tra Silvio Berlusconi, il Governo e gli elettori del Pdl. Così come avviene in Francia, con l’UMP, e in Germania, con la CDU.

Non solo riforme istituzionali. Fini attacca. “Servono tagli selettivi alla spesa pubblica”. Basta con i tagli orizzontali a tutti i ministeri, come sta facendo da anni Tremonti. Una scelta, quella del Ministro dell’Economia, che è in realtà una non scelta. Gianfranco Fini vuole un Pdl coraggioso, non schiacciato sul Governo. Un Pdl che possa essere da stimolo per migliorare l’azione dell’Esecutivo. Un Pdl che si deve interrogare sul futuro dell’Italia. Su quei giovani, che con la vigente Riforma Dini, avranno una pensione pari al 40% dell’ultima retribuzione. Sfuggire dalla malattia del “presentismo”, del tirare a campare, per affrontare la stagione delle Riforme. Questo chiede Fini al Pdl.

Non è facile. C’è chi nel Pdl non vuole il dibattito interno, c’è chi non vuole rispettare le opinioni non in linea con la presunta ideologia dominante (ci dicano qual è…), c’è chi rivendica il centralismo carismatico che tutto comprende e tutto risolve. E, sempre nel Pdl, c’è la caccia alle streghe, agli eretici, a chi la pensa in maniera diversa (è lesa maestà?). Un Pdl dove vige il reato del controcanto.

Fini rivendica il suo diritto al dissenso. Il suo diritto ad avere un partito – il “mio partito” dice – dove le decisioni si prendono dopo ampio e articolato dibattito, come avviene in tutti i partiti europei che aderiscono alla grande famiglia del PPE.

Fini rivendica la sua storia politica, grazie alla quale e solo grazie ad essa, “sono Presidente della Camera”. Una battaglia di dignità. Per rivendicare il ruolo della destra – quella vera – nel panorama politico italiano.

mercoledì 28 aprile 2010

Generazione Italia sta arrivando sul territorio…


Generazione Italia sta arrivando sul territorio…
di Gianmario Mariniello


Siamo (quasi) pronti. Abbiamo deciso di fare un passo indietro, annullando la Convention prevista a Perugia l’8 e il 9 maggio, per fare due passi avanti. Abbiamo infatti deciso di organizzare la rete di Generazione Italia sul territorio. Di più. Appena la nostra raccolta di firme “io sto con Fini” arriverà a quota mille, organizzeremo a Roma una grandissima Convention cui inviteremo tutti i firmatari. Sarà un evento aperto ovviamente anche a tutti quelli che vorranno essere presenti.

Andiamo per ordine: la Convention di Perugia è stata superata dai fatti recenti. Il “concept” di quell’evento non era più adeguato ai tempi. La politica ha i suoi tempi e i suoi modi e così abbiamo deciso di rilanciare in grande.

Nei prossimi giorni apriremo le adesioni on-line (tutti gli aderenti dovranno accettare due clausole: 1. essere dirigenti, militanti, simpatizzanti o elettori del Pdl; 2. non avere precedenti penali). La quota di adesione sarà di 10 euro.

A breve verrà messo in rete il comitato fondatore di Generazione Italia, che provvederà poi a nominare i rappresentanti regionali, che a loro volta potranno nominare rappresentanti provinciali. Dopo questi necessari “passaggi” organizzativi, daremo il via libera alla costituzione dei circoli in ogni città, con modalità che spiegheremo a breve.

Metteremo on-line le pagine di “Generazione Italia sul territorio”, divise per regioni, che verranno costantemente aggiornate con l’attività delle strutture periferiche e dei circoli territoriali.

Insomma, una settimana, massimo dieci giorni, e si parte! Allacciate le cinture. Destinazione futuro!

martedì 27 aprile 2010

“Codice Fini”: lealtà in movimento


“Codice Fini”: lealtà in movimento
di Carmelo Briguglio

Con l’intervista a Lucia Annunziata del giorno prima e l’incontro di ieri con i parlamentari a lui vicini, Gianfranco Fini ha voluto dare uno sbocco positivo alla riunione della Direzione del Pdl. Evento “drammatico”, per le tante ragioni politiche e le spiegazioni mediatiche che sono state date da più parti, che resterà scritto nella storia politica del Paese e forse nei futuri manuali di comunicazione politica. Sgombrando il campo dalle forzate interpretazioni del solito fuoco “nemico”, col saggio Ferrara in controtendenza, ma anche da analisi di ambienti nostri più politologiche che politiche, è il caso di fare qualche immediata riflessione.

Comprendiamo che molti commentatori e media ora annuncino come novità l’indicazione della lealtà al governo e al premier che il Presidente della Camera ha dato come start up all’area nata con l’incontro dell’altro giorno all’Auditorium. Dopo quanto accaduto era una delle opzioni possibili. Ma l’altra che vedrebbe in prospettiva governi tecnici o istituzionali contro Berlusconi e fuori dal Pdl,non è mai passata per la mente di Fini.

Se c’è una categoria morale e culturale che contraddistingue la destra “eterna” oltre che moderna di Fini e che unifica quanti si riconoscono nella minoranza (oggi) politica e culturale che egli ha voluto fondare nel Popolo della Libertà, è la lealtà. La lealtà è il codice simbolico e politico che, dopo e nonostante svolte ed evoluzioni, unisce Fini ai suoi, a tutti i suoi, di prima e di dopo, da qualunque storia politica o latitudine culturale provengano. Se non si capisce questo dato, direi “genetico”, si comprende poco o si finisce per equivocare o peggio banalizzare quanto accade nell’arena del confronto tra Berlusconi e Fini e dentro il partito che i due hanno fondato. Fini sa di avere dato una parola d’ordine che ciascuno dei suoi, ciascuno di noi, comprende per intuizione ancor prima che per ragionamento e motivazione politica. E’ l’unica indicazione che non sarà né discussa né trasgredita. Perché è sentita, anzi pre-sentita, ancor prima di essere ascoltata. Da lui e da noi.

Si parla dei giorni futuri. In particolare si fanno previsioni sull’iter dei provvedimenti che verranno presto in Parlamento, a
cominciare da quelli che riguardano la giustizia o altri dossier caldi. Ci si chiede: come si comporteranno i “finiani” o meglio la minoranza del Pdl come è più corretto ormai dire? Domanda legittima ma viziata, se non è preceduta da un’altra. Come si sono comportati i parlamentari più vicini al Presidente della Camera nei due anni, in ben due anni, che ci separano dall’inizio della legislatura? Con lealtà. Sempre. Questa è la risposta che nessuno può né mettere in discussione, né smentire. In tutte le occasioni, in tutte le leggi, in tutte le conversioni di decreti-legge (troppi?), in tutte le votazioni di fiducia (tante). Con lealtà. E alcune volte, “finiani” e non, con non pochi mal di pancia. Inutile spiegare perché. Lo sappiamo tutti.

Vogliamo dirlo? Se in questi due anni di lavoro in Parlamento abbiamo peccato, abbiamo peccato in generosità e amor di patria.E allora? Come si pensa che la minoranza del Pdl si comporterà nelle aule parlamentari al momento del voto, di qualunque voto? Esattamente come si è comportata nei due anni trascorsi. Con lealtà, con la massima lealtà. Ma anche con una nuova responsabilità, quella di minoranza portatrice di un messaggio politico e culturale nel Pdl, nel centrodestra e nel Paese. Una responsabilità che ci impone una lealtà la quale richiede dentro il partito e nei gruppi parlamentari democrazia interna, discussione preventiva, luoghi e spazi di confronto, fine della evocazione di epurazioni, suicide per la credibilità di un grande partito che si riconosce nel programma e nella carta dei valori del Ppe. Non lo chiediamo come contropartita, perché la lealtà è il riflesso di un codice cavalleresco che, ieri e oggi, non richiede contropartite. Ma abbiamo bisogno di una lealtà non statica, ma che muova il Pdl e metta tutto e tutti in movimento. La lealtà chiama lealtà. E rafforza i legami, dentro e fuori, di un partito ancora fragile. Noi lo vogliamo forte.

lunedì 26 aprile 2010

On.Francesco Aracri (Pdl)


Francesco Aracri (Pdl)/Solidarietà a Zingaretti. Sono gli intolleranti i veri dittatori.
ADNKRONOS, 25 Aprile 2010

“Esprimo la mia solidarietà al Presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti”- - ha dichiarato Francesco Aracri (componente della direzione nazionale del Pdl) – “che questa mattina, partecipando alla manifestazione del 25 aprile, ha subito un attacco vergognoso e ingiusto per difendere quel diritto alla parola che non solo il presidente della Regione Lazio Renata Polverini meritava, ma che meritano tutti i cittadini senza distinzione di razza, di credo politico nè religioso”. Ha proseguito e concluso Francesco Aracri: “I responsabili, provenienti dai centri sociali, antifascisti convinti, si sono comportati loro da dittatori, non rispettando la democrazia in cui vivono. Gli atti scellerati di questi giovani tirati su a pane e rabbia, servano da monito a quella sinistra che alimenta un odio che le si riversa contro. Questi intolleranti non rendono omaggio a quella libertà, valore della resistenza, strumentalizzata solo a livello ideologico”.

domenica 25 aprile 2010

On. Italo Bocchino


Intervista di Italo Bocchino al “Corriere della Sera”
di Generazione Italia*


“Sentiamoci dopo, ora sto scrivendo una lettera”, aveva detto alle sei del pomeriggio Italo Bocchino, uno dei finiani più esposti, anzi probabilmente il più esposto e agguerrito tra tutti quelli che si sono contati e schierati, negli ultimi giorni. Davvero, era difficile si trattasse di una lettera qualsiasi. Infatti. “E’ la lettera con cui mi dimetto da vice capogruppo alla Camera del Pdl. La consegnerò a Fabrizio Cicchitto, che è il capogruppo, e a lui chiederò di organizzare un incontro con il coordinatore Denis Verdini e con Silvio Berlusconi. Con loro mi piacerebbe avere una discussione politica. Pronto, il giorno dopo, se necessario, a presentarmi all’assemblea del gruppo”. Sono stati giorni complicati. In varie trasmissioni televisive, Bocchino ha avuto scontri assai accesi con numerosi esponenti del Pdl fedeli a Berlusconi (Bondi, Lupi, Santanchè); e Berlusconi stesso, dal palco dell’Auditorium, lo ha citato in termini non esattamente lusinghieri. Bocchino risponde piano. Lui che di solito sfoggi un eloquio vivace, retorico, ora una tono grave. “Io in questa vicenda ci ho messo la faccia. Proprio io che, tra i cosiddetti colonnelli, ero il meno finiano, quello che da Fini, in termini politici, ha sempre avuto meno. Ma ho agito d’istinto, di pancia. Perchè l’operazione di far passare Gianfranco come uno isolato è stata vigliacca e inaccettabile. Almeno per me. Voglio dire che è sempre stato il mio capo, fin dai tempi del Fronte della Gioventù. E se siamo passati dall’avere le sedi assaltate con le molotov a ruoli di governo, è perchè tra noi di destra, tra tutti noi, c’è sempre stata coesione umana. Amicizia, stima, solidarietà, lealtà”.

Bocchino sa che al Secolo d’Italia sono arrivate e ancora arrivano le e-mail piene di delusione e di rancore: gli ex militanti di AN definiscono “badogliani” e “traditori” molti dei più fidati ex colonnelli di Fini.
“Anch’io… anch’io, mi creda, sono addolorato”.

Si sarà dato qualche spiegazione: ecco, perchè La Russa ha scelto di stare con Berlusconi?
“La scelta di La Russa credo che tolga il sonno, a Gianfranco… Avevano un rapporto che andava avanti da trent’anni. E’ difficile dire perchè Ignazio si sia comportato così: era in una botte di ferro. Poteva continuare ad essere il coordinatore in quota An e da lì mediare. Invece…”.

E a Gasparri?
“Guardi, Maurizio è per me una specie di fratello maggiore. E posso dirle che la scelta di Maurizio già mi appare più comprensibile”.

Perchè?
“Ma perchè lui, in fondo, aveva già rotto con Gianfranco, il quale, diciamolo, non ha mai perso occasione per mortificare l’impegno di Maurizio. Prima lo destituì da cordinatore, poi da Ministro…”.

Alemanno.
“Mah, anche lui… Posso capire uno che fa il Ministro, ma lui fa il sindaco di Roma: che urgenza aveva di schierarsi?”.

Matteoli.
“Fini e Matteoli hanno un rapporto così personale, che francamente non credo d poter dare interpretazioni”.

Numerosi osservatori scrivono: ora i finiani faranno guerriglia politica.
“E’ impensabile qualsiasi guerriglia, qualsiasi azione di sabotaggio parlamentare. Fini ha dimostrato che se ha qualcosa da dire, la dice in faccia. Poi è chiaro che se…”.

Prosegua.
“Se cominciano con le liste di epurazione, allora andremo allo scontro. Ma io non credo che a Berlusconi convenga una scena simile. I regolamenti di conto mietono vittime da tutte le parti…”.

Quindi?
“Io immagino che, a questo punto della vicenda, Fini e Berlusconi abbiano due strade percorribili”.

La prima.
“La separazione consensuale, ma significherebbe la fine del Pdl. per questo, ecco, penso che per ora sia più strategico pensare a una separazione in casa, che poi, tecnicamente, sarebbe il riconoscimento di una minoranza, la nostra, all’interno del partito”.

In attesa del congresso.
“Berlusconi sostiene di volerlo convocare entro l’anno, mi auguro sia di parola. Ci sarà una mozione Fini, la presenteremo in centinai di congressi locali, avremo la possibilità di spiegare ai militanti la nostra posizione. A quel punto ci conteremo sul serio”.

Per ora, quanti siete?
“38 deputati e 14 senatori”.

Fini come Nancy?.


Fini come Nancy? Sì, il profilo del presidente della Camera già è cambiato da tempo

di Orazio Abbamonte*




Quando il sistema politico non corrisponde più all’ordinamento costituzionale è naturale che le cerniere tra l’uno e l’altro – le prassi istituzionali – stentino a svolgere il compito che è loro proprio: riempire di rassicuranti contenuti tutti quegli spazi che non è possibile regolare con norme scritte, perché attengono ai rapporti tra massime cariche dello Stato e devono necessariamente essere lasciati alla capacità di autoregolazione degli uomini chiamate a ricoprirle.

E’ questa, mi sembra, la vicenda oggi attuale degli spazi, appunto, che il presidente della Camera può occupare nel dibattito politico. Inutile negare che la consolidata prassi costituzionale, formatasi sin dai primi anni dell’Italia repubblicana, ha collocato i vertici dei due rami del Parlamento tra quelle cariche cosiddette istituzionali, con compiti e ruoli di terzietà: dunque, fuori dal dibattito politico, almeno quello più acceso ed impegnato. Ma si tratta, appunto, prassi formatesi sotto il vigore d’una costituzione che non ha più riscontri nella realtà politica attuale: una costituzione che si caratterizzava per lo stemperamento d’ogni personalità politica, dove nessuno, capo del governo, dello stato, presidenti delle camere doveva avere un ruolo stagliato. Lo stesso Parlamento, con il meccanismo unico al mondo (credo) del bicameralismo perfetto, era studiato per perdere di puntuale caratterizzazione politica: ed il vero centro decisionale era al di fuori delle istituzioni, nei cosiddetti vertici dei segretari di partito. Non a caso, sino alla caduta della prima repubblica, a capo delle camere erano posti uomini come Gronchi, De Nicola, Merzagora, Leone, Cossiga, Ingrao, Iotti e così via: vale a dire personaggi autorevoli ma non esposti in primo piano nei rispettivi partiti: non, insomma, segretari politici.

Oggi è sin troppo evidente che il quadro è mutato. E se non v’è dubbio che la funzione istituzionale richieda esercizio neutrale, non altrettanto certo può dirsi il dovere di astenersi dalla partecipazione alle tensioni politiche. Quando a svolgere il ruolo di presidente della Camera è chiamato chi viene dalla segreteria politica del suo partito ed è cofondatore del partito di maggioranza relativa, probabilmente la marcata deviazione dalla prassi d’un tempo è già avventa con questa scelta. Perché se è lì su quel soglio, vi è in quanto esponente di punta della forza politica; ed allora quell’uomo politico ci starà con le sue caratteristiche e con la sua storia ed è già di per sé quella elezione a spostare l’asse della prassi. Le istituzioni si connotano anche per gli uomini che le impersonano e questi uomini non sono indifferenti alla loro azione.

Se è ovvio, quindi, che il presidente della Camera nell’esercizio delle sue finzioni deve mantenere terzietà e rispettare i suoi doveri regolamentari, non mi pare altrettanto ovvio che debba anche tenersi lontano dalla politica attiva. Ed anzi a me sembra che proprio intervenendo contribuisca a rendere forte quel contatto tra le istituzioni e le dialettiche politiche, la cui distanza era uno dei più gravi difetti della prima repubblica, quello che più aveva condotto all’emarginazione delle istituzioni. E’ una storia ancora tutta da scrivere: che produce e produrrà traumi, proprio perché manca di prassi rassicuranti. Ma è anche in questo modo che la politica si rinnova.

* Docente di Storia delle Costituzioni Moderne presso la seconda Università degli Studi di Napoli

venerdì 23 aprile 2010

Ma come si fa a decidere chi è “di destra”?


Flavia Perina


I numeri sono chiari, e adesso si può cominciare a parlare di politica. Nel “mare magnum” delle dichiarazioni degli “ex colonnelli” l’argomentazione che più colpisce l’abbiamo trovata ieri in un’intervista a Giorgia Meloni (ma il giorno prima era evocata in quella di Ignazio La Russa, e Maurizio Gasparri ne ha fatto da tempo un suo cavallo di battaglia). È la “questione ideologica”, quella che Giorgia sintetizza dicendo: «Io ho una storia, fatta di An, destra, giovani, conservatorismo etico», una storia «che va difesa», quasi che Gianfranco Fini fosse al di là di quella storia, o addirittura se ne fosse messo al di fuori. Come ha spiegato, appunto, Gasparri: «Il problema vero è che io sono rimasto sulle posizioni che abbiamo sempre espresso: lui invece è diventato un innovatore, ha cambiato idea su tante cose». Per poi chiedersi: ma se un capo di partito cambia idea, dirigenti e militanti devono adeguarsi?
Adesso che i posizionamenti politici sono trasparenti, che ci si è schierati pro e contro, questo è il primo argomento su cui essere trasparenti. Crediamo, ad esempio, che abbia fatto molte più cose “di destra” la finiana Giulia Bongiorno fermando, correggendo o limando provvedimenti come la prescrizione breve (che avrebbe cancellato 600mila processi), piuttosto che tutti gli ex An (noi compresi) messi insieme. Senza la sua competenza e determinazione avremmo mortificato le forze dell’ordine che su quei 600mila casi hanno indagato, schiaffeggiato le vittime che hanno speso tempo e quattrini per avere giustizia, probabilmente premiato i colpevoli. Chi si fregia del titolo di difensore dei valori della cosiddetta “vera destra” dovrebbe spiegarci a quale punto della graduatoria mette la legalità. E a quale il senso dello Stato e dell’interesse nazionale, e un’idea repubblicana che non si basi sulla sopraffazione dei più deboli ma sulla garanzia di un diritto uguale per tutti.
Ecco, se è naturale che a un ex Forza Italia venga in mente, ad esempio, di dichiarare che si deve fare «la riforma istituzionale che ci conviene di più», non è normale che un’idea così sia sostenuta da uno “di destra”. Se non sorprende il controcanto di Silvio Berlusconi su Roberto Saviano (peraltro pubblicato da Mondadori), eroe civile della lotta ai clan, stupisce che le uniche osservazioni critiche siano arrivate dai “finiani”: chi aspira a interpretare la destra-destra dovrebbe ancora avere nelle orecchie, per dirne una, la relazione di Beppe Niccolai all’antimafia, le assemblee del FdG con Paolo Borsellino, gli stessi comizi di Almirante in Sicilia. Come fa a stare zitto? Come fa a far finta di niente?
Perché ci sono solo i “finiani” nel comitato che chiede la verità per Stefano Cucchi, vittima innocente che ci ricorda tanti dei nostri? Come mai gli eredi più titolati della tradizione della destra, una tradizione che aveva in massimo conto la partecipazione, sono i più distratti davanti al problema dell’astensionismo? Perché è il “finiano” Pasquale Viespoli il solo che sentiamo parlare con passione di Sud o di patto generazionale per salvare i giovani da un futuro immobile e precario? E come mai, tra le tante fondazioni e think thank che gli ex colonnelli hanno costituito, è toccato solo i “finiani” del Secolo aver dedicato convegni e approfondimenti giornalistici non retorici a personaggi che hanno fatto la storia della “nostra” destra come Giano Accame, Tony Augello o Marzio Tremaglia, di cui domani ricorre il decimo anniversario della prematura scomparsa, o al vero e formidabile “sdoganatore” già negli anni Ottanta della destra politica italiana che fu Bettino Craxi?
Il fatto è che il vero dna della destra, più che sul crinale della retorica dei valori e delle cosidette questioni di coscienza, dove il nostro mondo – fin dall’epoca del divorzio – ha sempre giudicato normale esprimersi liberamente, ruota intorno alle discriminanti ben più scomode (almeno nell’era berlusconiana) del senso dello Stato e della legalità, della protezione dei deboli e della valorizzazione del merito oltre i diritti di casta. Facile fare la morale in tema di coppie di fatto, che non incide sul “core busisness” di nessuno. Ma il coraggio della destra, a nostro giudizio, si mostra anche altrove. Anzi, soprattutto altrove.

giovedì 22 aprile 2010

Presidente della Camera Gianfranco Fini


Il discorso dello Statista. Oggi è nato il Popolo della Libertà
di Gianmario Mariniello




“Berlusconi te lo dico in faccia: il tradimento che è certamente poco dignitoso, viene spesso da chi alle spalle dice il contrario di ciò che dice pubblicamente, ma raramente il tradimento è nella coscienza di chi si assume la responsabilità di quello che pensa in privato e pubblicamente”. Gianfranco Fini con il suo discorso di oggi alla Direzione nazionale del Pdl ha sicuramente cambiato la politica italiana. Mai fino ad oggi un collega di partito o di coalizione aveva messo tanto in difficoltà il Presidente Berlusconi. La controprova è la replica del Cav., stizzita, nervosa. Un Berlusconi che la butta subito sul personale. E ci va pesante. “Ha sbroccato”, ha detto il giornalista di Sky. Forse è così.

Di sicuro oggi è finito il partito monarchico. Il capo è stato messo in discussione, sfidato sui temi concreti che interessano gli italiani e i militanti, iscritti e simpatizzanti del Pdl. Toccò in Gran Bretagna alla Thatcher a cavallo tra gli anni ‘80 e i ’90, è toccato oggi a Silvio Berlusconi. È il bello della democrazia.

Tornando alla “ciccia” del discorso di Fini, notevoli sono gli spunti del Presidente della Camera che hanno riguardato l’abolizione delle province, la liberalizzazione dei servizi pubblici locali (vera fonte di potere della Lega), l’innalzamento dell’età pensionabile (“si cominci ora per far stare meglio i nostri figli domani”) che libererebbe le risorse necessarie per abbassare finalmente le tasse. La proposta di Fini di convocare gli Stati generali del Pdl sull’economia va in tale direzione.

Fini poi incalza sul rapporto Pdl-Lega. È indubitabile che il Pdl appaia sempre di più come una fotocopia del partito di Bossi. Ed è ingeneroso che Berlusconi dia agli ex di AN tutte le responsabilità del boom leghista al Nord. Come si sentiranno adesso – verrebbe da chiedere – i 75 ex An che hanno firmato il documento”berlusconiano”?

Il Presidente della Camera tira poi fuori una parola fino ad oggi “sconosciuta” al Pdl: “Legalità”. Berlusconi “freme” quando Fini gli dice che “combattere la politicizzazione di una parte della magistratura non significa dare anche minimamente l’impressione di tutelare sacche di impunità”. E ancora: “Il processo breve era un’amnistia mascherata”. Era ora.

Notevole il passaggio da statista sul federalismo: come non condividere la proposta di Fini di convocare una commissione del Pdl sul decreti attuativi del federalismo fiscale, cui dovranno prendere parte tutti i nostri governatori di regione? Oppure il Pdl preferisce dare carta bianca a Calderoli? Se vogliamo una riforma per il futuro dell’Italia, il Pdl deve prendere l’iniziativa. Così come sulle riforme istituzionali: può il partito di maggioranza relativa non avere una propria bozza di riforma da presentare a tutte le forze politiche presenti in Parlamento? Sono questi gli interrogativi cui Berlusconi non darà risposta nel suo intervento di replica.

Gianfranco Fini non vuole fare la fronda interna, non vuole sabotare il Pdl ma vuole un partito che si riunisca, discuta e alla fine decida sui temi che riguardano il futuro dell’Italia.

La politica italiana oggi è cambiata. E sul “One man show” scorrono i titoli di coda.

Aracri-Palozzi


Pdl, Aracri-Palozzi: Ora si passi a Politica con la "P" maiuscola
Il Velino, 20 Aprile 2010

Il Velino "Bene il confronto anche forte ma leale, ora si passi alla Politica con la 'P' maiuscola. L'obiettivo e' costruire un grande Pdl e la nuova Italia con le riforme. Un Pdl che senza ricalcare i partiti politici dell'800 sia pero' plurale davvero, democratico e popolare". Lo hanno dichiarato, in una nota congiunta, Francesco Aracri (componente della direzione nazionale del Pdl) e il sindaco di Marino Adriano Palozzi nel corso di una foltissima manifestazione che ha riunito l'area politica che fa riferimento a Francesco Aracri e che ha visto la partecipazione dei neo eletti consiglieri regionali Maurizio Perazzolo e Pino Palmieri e del veterano della politica regionale Antonio Cicchetti, il consigliere regionale piu' votato d'Italia per il Pdl. "Tre le proposte emerse dall'incontro: congresso del Pdl subito, riforma del sistema elettorale ridando spazio alle preferenze e centralita' del coordinamento regionale del Lazio come strumento propulsivo di politica, di idee e di rappresentanza dei territori in difesa di Roma, preda altrimenti di scorribande dannose", hanno proseguito Francesco Aracri e Adriano Palozzi concludendo: "La Regione Lazio guidata da Renata Polverini puo' diventare un modello per tutta la politica nazionale. L'Italia non e' solo il Nord e la competizione con il Nord si faccia sui contenuti perche' essere alleati non e' essere proni. Le famiglie italiane non possono piu' aspettare. Tra le priorita' il quoziente familiare".

mercoledì 21 aprile 2010

L’unità del PdL? Ci sarà solo con congressi e democrazia interna


L’unità del PdL? Ci sarà solo con congressi e democrazia interna
di Antonio Buonfiglio



Il leitmotiv che ci ha accompagnato nella discussione di questi giorni è la presunta estraneità di Gianfranco Fini alle sensibilità culturali e politiche confluite nel grande progetto del Popolo della Libertà.

In realtà, le posizioni da più parti palesate, in vista della convocazione della Direzione Nazionale di domani, si snodano attorno ad un elemento comune e qualificante che dimostra come i temi posti dal Presidente della Camera, non solo siano indispensabili al compimento del processo di costruzione del partito, ma facciano parte del DNA quantomeno di tutti i Parlamentari che provengono da Alleanza Nazionale.

Infatti, nella mozione dei 75 ex-aennini, che passa come “documento anti – Fini”, viene affermata la necessità di:

- “dare luogo ad un costante libero, proficuo confronto di idee, che si basi su regolare e sempre più frequente incontro degli organi statutari del partito”;
- garantire “il massimo della democrazia interna e il rispetto di tutte le posizioni”;
- assicurare la valorizzazione e il radicamento del partito “attraverso i congressi previsti dallo statuto affinché sul territorio una scelta democratica prenda il posto delle prime designazioni avvenute tenendo conto delle quote di provenienza”.

E’ ridicolo e superficiale, pertanto, tradurre pregiudizialmente le richieste politiche di Fini in rivendicazioni velleitarie e personalistiche; tanto più quando esse coincidono con quelle avanzate dalla totalità dei componenti di uno dei partiti che ha dato luogo al PdL.

Fuori dei posizionamenti, dunque, la conseguenza pratica dovrebbe essere quella di presentare una mozione unica che “sblocchi” il partito e dia inizio – proprio ora in assenza di scadenze elettorali – alla stagione dei congressi, a partire da quelli provinciali e delle grandi città. Non v’è dubbio, infatti, che al di là delle conte parlamentari, le linee, le mozioni e le posizioni vanno dibattute e votate nei congressi, secondo criteri democratici, per dar luogo a quella contaminazione che chiuderà definitivamente la stagione delle quote e delle rendite.

Fini, infatti, non chiede – e lo ha dimostrato - di essere autorizzato ad esternare le proprie idee ma di poterle discutere all’interno del partito: gli si rimprovera si essere lontano e quando cerca di confrontarsi viene additato come destabilizzatore.

Ancora una volta si confonde l’unanimismo con l’unitarietà!

Ad ogni modo, anche se non si dovesse giungere ad mozione unica, l’esigenza di conferire al partito forma stabile, partecipata e democratica è stata manifestata e rimane.

E non poteva che essere così.

In questi giorni, quando ci sforzavamo di far comprendere come le questioni poste fossero di carattere politico ed organizzativo, ricordavamo che, nella tradizione della destra italiana è sempre stata presente l’esigenza di democratizzare i partiti, anche discutendo delle modalità di attuazione dell’art. 49 della Costituzione.

E’ evidente, infatti, – e lo è molto di più in un sistema tendente alla semplificazione delle rappresentanze – che, al di là della legge elettorale, perché un partito possa garantire una leale competizione con un dibattito di idee e di uomini, in cui l’alternativa sia tra maggioranza e minoranza e non tra unanimisti e scissionisti, è fondamentale individuare regole di pubblicità, democrazia e trasparenza.

L’assenza di un confronto interno, del resto, è il sale delle telerisse e la pastura delle scissioni.

In modo sempre più cogente, inoltre, tutti gli schieramenti affiancano alla necessità di avere una leadership quella di un’ampia partecipazione dal basso per poter opportunamente scegliere i rappresentanti e raccogliere le istanze dei cittadini.

Se la seconda Repubblica, infatti, ha avuto il merito di generare forme di democrazia diretta e di alternanza, non ha ancora affrontato la questione della selezione della classe dirigente né quella delle modalità di stabilizzazione del confronto dentro e fuori i contesti istituzionalmente deputati – per dirla con i 75 – “per attuare, integrare ed aggiornare il programma elettorale”.

Diversamente, si potrebbe correre il rischio di amplificare la distanza e il malessere degli elettori che sempre più si esprimono con l’astensionismo; fenomeno questo che, ragionevolmente, non può essere liquidato quale effetto della mancata comprensione di alcune provocazioni culturali -magari fosse così! – né semplicemente compensato ricorrendo al localismo.

Per questo, siamo ora chiamati a fare un passo avanti.

Quali sostenitori di un sistema di esecutivo rafforzato, nell’epoca della concentrazione delle formazioni politiche, non possiamo più affidare il meccanismo di selezione della classe dirigente alla sola legge elettorale ma dobbiamo incidere, in modo determinante, sui processi regolatori dei partiti, fuori dei quali l’alternativa è solo una prospettiva personalistica o lobbistica che impoverisce le istituzioni.

Fuori da pregiudizi e recinti, dobbiamo, dunque, costituzionalizzare i partiti per renderli stabili e duraturi. Proponiamo questo intervento radicale quale contributo primario del PdL al processo di riforme per inserirci nella linea di trasformazione già in atto a livello europeo, dove l’istituzionalizzazione attraverso il riconoscimento della personalità giuridica è prevista dal Regolamento 2004/2003 del Consiglio, che ne subordina l’attuazione ai principi di democrazia interna.

Facendo poi omaggio all’anima socialista, altra cultura fondante il popolo della libertà, permettetemi, inoltre, di citare alcuni passaggi, di assoluta attualità, contenuti nell’ultima intervista resa da Bettino Craxi a Dolcetta: “Le idee necessitano di un forte apparato politico, di un partito strutturato, questa è la lezione che emerge dal fallimento [….] Gli uomini migliori sono quelli che nascono dalle esperienze, dalle lotte, dalla cultura […] Si formeranno sicuramente, a meno che questa democrazia italiana non sia ridotta, proprio sul lastrico della cloroformizzazione teleguidata, e quindi sia resa una democrazia asfittica nella quale non c’è un posto dove incontrarsi, non c’è un giornale dove scrivere, non c’è una sede dove fare un dibattito, non c’è un posto dove votare”[….] Come si organizza la democrazia? Come vive la democrazia? Esiste l’associazionismo democratico che si confronta, si combatte, confligge, non si allea, oppure tutto è destinato progressivamente a isterilirsi in nomenclature che, per sopravvivere, hanno bisogno di comparire in televisione. Non è che non sia necessario ma non possiamo diventare una democrazia interamente teledipendente”.

Dal confronto tra due uomini e, soprattutto, tra due grandi culture politiche nasca finalmente la possibilità di scrivere lo statuto della nuova politica e di proiettare il PdL nel futuro

martedì 20 aprile 2010

Costruire davvero il Pdl. Insieme a Gianfranco Fini


Costruire davvero il Pdl. Insieme a Gianfranco Fini
di Gianmario Mariniello

Visto che va di moda citare le canzoni, parafrasando Gino Paoli possiamo dire che “non eravamo quattro amici al bar”.

La riunione di oggi dei parlamentari provenienti da Alleanza Nazionale – che si è tenuta nella sala della Camera dedicata a Pinuccio Tatarella, padre indiscusso della moderna destra italiana – ha dimostrato che il Presidente Fini non è solo come avevano annunciato quelli più realisti del Re.

Più di cinquanta i parlamentari ex AN che hanno firmato il documento “finiano”. Tanti altri (e non solo ex AN) verranno. L’obiettivo è “riportare il confronto sul piano costruttivo, isolando quanti più o meno consapevolmente stanno in queste ore lavorando per destabilizzare il rapporto tra i cofondatori del Pdl. Per questi motivi confermiamo la fiducia al presidente Gianfranco Fini a rappresentare tali istanze”.

La riunione di oggi ha dimostrato quanto i “finiani” non siano un moloch che ubbidisce ciecamente al Capo, ma un gruppo di persone libere che discute, a volte litiga, ma alla fine sceglie di essere coerente con la propria storia. E con l’obiettivo futuro di avere un grande Pdl, con una missione “nazionale” e con la prospettiva di creare un vero e grande “partito degli italiani” che sappia dare al nostro Paese quelle risposte che aspetta da tanti, troppi anni. Una visione “romantica” della politica. Una visione “per” e non “contro”.

La sfida è stata lanciata: riforme economiche ora e subito, meno tasse e taglio alla spesa pubblica, una grande battaglia per il riscatto del Sud e un grande progetto politico – il Pdl – non per gestire l’oggi, ma per immaginare e governare il domani.

Nessuna scissione o voto anticipato. Gianfranco Fini ha sgombrato il campo da ogni dubbio. “Tradimento”, “voltagabbana”, “irriconoscenti” e robe simili non possono essere accuse rivolte a chi chiede un partito che discute, decide e in tal modo rafforza il Governo.

Poi c’è chi – pur provenendo da AN – ha fatto una scelta diversa. Ma questa è un’altra storia. In cuor loro sono d’accordo con Fini.

Perché Gianfranco Fini è indispensabile per il Pdl


Perché Gianfranco Fini è indispensabile per il Pdl
di Gianmario Mariniello


Proviamo ad adottare strumenti “berlusconiani” per cercare di far comprendere a chi grida “fuori Fini dal Pdl”, quanto sia importante e necessario il contributo del co-fondatore del Pdl alla causa del nostro partito. Mi riferisco ai sondaggi.

A chi afferma con la puzza sotto il naso “quante divisioni ha Fini?”, ricordiamo che chi ragionò in tal modo, il vecchio Baffone in quel di Yalta riferendosi al Sommo Pontefice, non fece una bella fine. Ci vollero quasi cinquant’anni, ma alla fine colui che aveva poche truppe ma antichi e profondi valori (il Papa) prevalse sull’Armata (rossa).

Non vogliamo essere blasfemi, né irriguardosi. Ma invitiamo tutti alla riflessione.

Sondaggi alla mano, in questo momento “Silvio Berlusconi ha un’approvazione pari al 52%, mentre il presidente della Camera, ormai da molti mesi, lo supera attestandosi oggi al 64%”, ci spiega Renato Mannheimer. E attenzione, per giustificare tali “numeri” non si venga a raccontare la solita barzelletta “Fini piace a sinistra” o altre amenità del tipo “Fini prossimo leader del Pd”. Gianfranco Fini ha un seguito “distribuito in tutto l’arco politico, anche se la maggioranza di chi manifesta il suo apprezzamento per il presidente della Camera si professa comunque elettore azzurro”. Ci verrebbe da cantare “Azzurra Libertà”, ma desistiamo. Mannheimer dice che il “Partito di Fini” parte dal 5% e può arrivare al 20%. Poniamo l’asta giusto a metà e fa 12,5%. Più dell’ultimo dato di AN.

Andiamo avanti, un indizio non fa prova piena. Secondo Antonio Noto di IPR Marketing, «senza l’ex leader di An, il Pdl perderebbe il 20% del suo elettorato». Dato che nel 2008 il Pdl prese il 37%, stiamo parlando del 7,4%. Così, senza fare campagna elettorale, senza struttura, senza niente. Un dato statico. Si votasse domani mattina, il Pd potrebbe superare un Pdl senza Fini. Sarebbe uno shock per tutti.

Due indizi fanno pensare. Non bastano? E noi allora insistiamo. Sondaggio Crespi Ricerche per Generazione Italia (giochiamo in casa).

Poniamo caso che il Parlamento decidesse di approvare la “bozza Calderoli”, quella presentata alla festa per l’elezione del figlio di Bossi, per intenderci. Bene, grazie alla bozza del Solone di Bergamo, arriviamo all’elezione diretta del Presidente della Repubblica.

Evviva. Gianfranco Fini convincerebbe quasi un elettore del Pdl su tre, nel caso di un’ipotetica gara con Berlusconi. E con la sua capacità di attrazione nel mondo dell’astensione e dell’elettorato “mobile” – “floating voters”, dicono gli inglesi – si attesterebbe al 26,6% e Silvio Berlusconi “solo” al 24,3. Da non credere.

Infine, un dato statistico. La favoletta del lupo leghista che si mangia i voti di An perché Fini ha una posizione “aperta” sull’immigrazione, è simpatica. Nel senso che fa ridere. Rispetto alle elezioni politiche, il Pdl nel 2010 ha perso 4 milioni di voti. La Lega, pur sfondando in direzione “Roma ladrona”, ha perso 117 mila voti. Non c’è stato alcun travaso, insomma. Semplicemente, i “nostri” se ne son rimasti a casa (è sempre accaduto a FI alle elezioni amministrative), mentre i leghisti sono andati a votare compatti.

Nessun lupo verde, nessun travaso di voti. Solo una favoletta. Buona nemmeno per i bambini. Che – notoriamente – hanno paura del lupo.


Tag: Antonio Noto, Crespi Ricerche, Gianfranco Fini, Pdl, Renato Mannheimer, Silvio Berlusconi

domenica 18 aprile 2010

Gruppoimago Santa Marinella


INCONTRO QUADRI HOTEL SUMMIT
Lunedì 19 Aprile 2010 Hotel Summit ore 16.30 -Sala America,via della Satzione aurelia ,99

Caro amico / Gentile amica, l’esito delle elezioni regionali, lo “stato di salute” del nostro partito, il risultato elettorale di Roma, la nostra presenza politica negli ambienti e nei territori, ed ancora, quanto avverrà nel PDL nazionale e per concludere, gli equilibri nel PDL regionale, credo che siano temi sui quali una classe dirigente, responsabile e consapevole, debba interrogarsi e riflettere. Pertanto, ti invito alla riunione, alla quale ti prego di non mancare, che terremo il prossimo 19 aprile alle ore 16,30 presso l’Hotel Summit – Sala America – via della Stazione Aurelia nr.99. Con amicizia.

Francesco Aracri
Adriano Palozzi

venerdì 16 aprile 2010

Presidente della Camera On Gianfanco Fini


Adesso si gioca a carte scoperte
Flavia Perina

Non è solo la partita delle riforme, non è solo il rapporto con la Lega, il Sud, lo sviluppo, il diritto al dibattito interno, l’irritazione per certe esibizioni cesariste. Non è più la tanto celebrata differenza antropologica tra il tycoon che si è fatto premier e l’ex-ragazzo di Bologna che fa politica dall’adolescenza. Nel gioco a carte scoperte che ieri si è aperto nel Pdl, dopo un anno di schermaglie e mezze verità, c’è un elemento poco valutato dai media e che invece conta moltissimo: la sensazione che senza un atto di “rupture”, di autentica discontinuità nel modus operandi del partito e della maggioranza, i prossimi tre anni possano segnare la fine della storia della destra italiana, sostituita da un generico sloganismo e dall’ottimismo dei desideri in luogo dell’antico ottimismo della volontà. Una delle preoccupazioni principali dei tanti parlamentari “ex An” che ieri si sono affacciati nello studio di Fini per avere notizie e discuterne, era quella che la scelta di aprire una partita trasparente e alla luce del sole con Berlusconi fosse interpretata dai media con il consueto stereotipo del “tradimento”, dell’ingrato che morde la mano che lo ha allevato. Un timore legittimo, visti i precedenti di criminalizzazione di ogni accenno di dibattito, di ogni spunto di riflessione non coincidente con il puro “sissignore”. Ma anche un complesso da superare, una volta per tutte. Il mondo che Gianfranco Fini ha portato nel “mare aperto del Pdl”, invitandolo a fare politica finalmente in un contesto maggioritario, fuori dall’antico schema della minoranza assediata, ha tutte le qualità e i numeri per chiedere rispetto e agibilità: quando esprime un’idea come quando si deve concordare una lista.
È un mondo che quando parla di economia non può accontentarsi di argomentare la tesi “meno male che c’è Tremonti”, perché ha una sua analisi e sue specifiche proposte che vorrebbe vedere almeno ascoltate, se non discusse. È un mondo che quando parla di legalità ha in mente Borsellino e non la tempistica del processo Mills. È un mondo che se parla di giovani, e scuola, e precari, non si accontenta di dire “abbiamo fatto la rivoluzione del merito” perché sa che non è vero, che l’Italia è uno dei Paesi più immobili d’Europa e che se non si rimette in moto l’ascensore sociale ci perderemo per strada una generazione intera. È un mondo che è cresciuto nel più assoluto rispetto dell’unità nazionale e trova difficile inghiottire i rospi di certe provocazioni leghiste, né capisce perché dovrebbe farlo: la Lega ha al Nord il 13 per cento, circa quanto il vecchio Msi aveva a livello nazionale, e se si “spalma” questa percentuale su tutta Italia ha il 4, forse il 5 per cento. Le corsie preferenziali che le sono state aperte sono numericamente immotivate e politicamente disastrose per chi, in Veneto o in Lombardia, deve difendere le liste del Pdl dalla concorrenza del Carroccio.
Un anno fa, appoggiando senza riserve la scelta del nuovo partito unitario, la metafora che noi del “Secolo” usammo fu: ora chi ha più filo da tessere, tessa. Scommettavamo su noi stessi, sulle nostre capacità e competenze, sulla qualità e moralità della nostra classe dirigente. Ieri abbiamo visto uno come Vincenzo Zaccheo, sindaco di Latina dove il Msi era maggioranza relativa già nel ‘93, prima di An, mandato a casa dalle manovre del senatore Claudio Fazzone, padrino politico di Fondi, un Comune indicato dal Prefetto (non da Santoro o Floris) come infiltrato dai casalesi e candidato da Maroni (non dalla Gabanelli o dalla Dandini) allo scioglimento e al commissariamento. Dov’è la tela che dovremmo tessere? Dove il luogo e il modo di far valere le nostre idee e le nostra capacità? Su questo giornale, per fare qualche esempio a caso, abbiamo dovuto difendere una come Renata Polverini dall’accusa di portare una giacca rossa. Uno come Fabio Granata dall’accusa di essersi iscritto al popolo viola. Italo Bocchino ha scoperto di essere stato seguito dai servizi. Della sottoscritta si è scritto che «ha tradito Rauti per un posto in Parlamento», poltrona che ha avuto quindici anni dopo l’uscita di Rauti dal partito. E potremmo continuare per mille righe.
Ecco, questo è il nocciolo della partita. Poi, gli appassionati si dedichino pure ai retroscena, alla conta dei numeri, al gioco delle ricuciture possibili. Il comunicato diffuso ieri da Gianfranco Fini ha chiarito che, comunque vada, sarà garantito pieno sostegno al governo per tutta la legislatura: anche questo – la lealtà – è elemento distintivo del nostro dna, irrobustito da antiche esperienze scissioniste che radicarono tanti anni fa il disprezzo per la categoria del tradimento. Su tutto il resto, finalmente si gioca a carte scoperte.

giovedì 15 aprile 2010

Presidente della Camera Gianfranco Fini


Fini: Berlusconi deve governare fino a termine legislatura
di Gianmario Mariniello

Rispetto per gli elettori: ”Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perche’ cosi’ hanno voluto gli italiani”. E grande fiducia nei confronti del Popolo della Libertà “che ho contribuito a fondare, e’ lo strumento essenziale perche’ cio’ avvenga”.
Lo ha affermato il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, in seguito al pranzo tenutosi oggi con il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
“Pertanto – continua Fini – il Pdl va rafforzato, non certo indebolito”. Il Presidente della Camera “vola alto”: “Cio’ significa scelte organizzative ma soprattutto cio’ presuppone che il Pdl abbia piena coscienza di essere un grande partito nazionale, attento alla coesione sociale dell’intero Paese, capace di dare risposte convincenti ai bisogni economici del mondo del lavoro e delle famiglie, garante della legalita’ e dei diritti civili, motore di riforme istituzionali equilibrate e quanto piu’ possibile condivise”.
La partita è ovviamente ancora aperta e nei prossimi giorni vi saranno sviluppi decisivi per il futuro della Legislatura e del Paese: “Ho rappresentato tutto cio’ al Presidente Berlusconi. Ora egli ha il diritto di esaminare la situazione ed io avverto il dovere di attendere serenamente le sue valutazioni”, ha concluso Gianfranco Fini.
Successivamente, il vice capogruppo del Pdl, Italo Bocchino, conversando con i cronisti fuori Montecitorio, ha messo il punto sulle voci che da ieri parlano di gruppi autonomi “finiani” sia alla Camera che al Senato: “Gruppi parlamentari autonomi vicini a Gianfranco Fini potrebbero essere questioni successive in presenza di risposte negative rispetto alle questioni politiche poste. I parlamentari vicini a Fini sono consapevoli che serve un coordinamento per rafforzare il Popolo della liberta’”.
In ogni caso e’ fuori discussione “la lealtà a Governo e maggioranza” e, dice ancora, “mi sento di escludere categoricamente qualsiaisi ipotesi di crisi di governo”. Infine ricorda il comunicato diffuso dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, “escludendo la richiesta di dimissioni di Fini da presidente della Camera”. Per Bocchino quello in campo “è un problema di linea programmatica e una questione organizzativa. Non si discute della lealtà alla maggioranza, ma non è possibile per esempio – aggiunge Bocchino – che il fondatore del Pdl veda per ultimo la bozza sulle riforme. Non è questo il metodo per costruire un grande partito”.
In serata, il Presidente del Senato fa un’uscita un po’ azzardata: “Se la maggioranza si divide si torna alle urne”. Pronta la replica di Bocchino: “Il presidente del Senato Schifani sa bene che ai sensi della Costituzione attualmente vigente in Italia si va alle elezioni anticipate soltanto in caso di assenza di una maggioranza e non quando emergono divisioni interne alla maggioranza”.

lunedì 5 aprile 2010

L’Udc faccia una scelta di campo



L’Udc faccia una scelta di campo
di Italo Bocchino

Pierferdinando Casini dopo la rottura con il Pdl del 2008 ha vinto la difficile battaglia per la sopravvivenza. Ha fatto una scelta difficile e coraggiosa, andando da terzo incomodo al voto in un paese sempre più bipolare. Per tre volte di seguito ce l’ha fatta, alle politiche bene, alle europee meglio e alle regionali così così.

Adesso non può esimersi dal fare una scelta, altrimenti rischia di apparire come un tennista che anziché giocare da una parte o l’altra del campo pretende di giocare seduto sulla rete. A questo si aggiunga che i terzi incomodi nei sistemi bipolari occidentali non brillano e ne è prova il risultato francese di Francois Bayrou.

La scelta è obbligata, anche se deve avvenire non come una resa, ma per arricchire la coraggiosa scelta fatta e la coalizione con cui allearsi. La scelta è quella della casa italiana del Ppe rappresentata da Berlusconi, Fini e Casini, che insieme rappresentano le culture nazionale, liberale e cattolica che si incrociano nei popolari europei.

A consigliare questa riflessione dovrebbe essere anche il risultato alle regionali, dal quale emerge che gli elettori di Casini preferiscono stare con il centrodestra. L’Udc è stata ininfluente ovunque si è schierata con la sinistra e influente nel Lazio e in Campania dov’era nel suo alveo naturale. Dove poi ha scelto la terza via ha di fatto danneggiato i moderati, permettendo ad un comunista come Vendola di governare la Puglia.

Il momento per ridiscutere l’alleanza è questo, in concomitanza con l’avvio delle riforme istituzionali dove alla pari e in maniera armonica con Berlusconi, Fini e Bossi anche Casini può costruire l’assetto della nuova Italia. In più Casini con la sua partecipazione alla partita riformatrice nell’alveo del centrodestra può garantire alcune questioni che lui e Fini hanno più volte posto, tra le quali il dialogo con le opposizioni, l’ascolto attento delle sensibilità del Quirinale e i giusti contrappesi alle spinte di cui è portatrice la Lega.

Se Casini scendesse dalla rete ed entrasse in campo sarebbe più facile fare le riforme, farle bene e costruire un centrodestra sempre più largo, competitivo ed equilibrato.