lunedì 24 marzo 2008

Robert Brasillach

Amore e CoraggioNon sono soggetti a processo.


Il ritratto d’ottobre è dedicato a Robert Brasillach, poeta francese ucciso per non aver mai voluto rinnegare le proprie idee. Robert nasce nel 1909 a Perpignano, nella Francia sud-occidentale, non lontano dai Pirenei. A sei anni perde il padre, il tenente Brasillach, caduto in Marocco. Va a Parigi e frequenta la Scuola normale superiore segnalandosi per la precoce maturità intellettuale e l’interesse per la politica. In quegli anni legge Action française, la rivista diretta da Charles Maurras. Questa rivista rappresenta il nazionalismo monarchico francese: auspica il ritorno dei Borboni al trono di Francia, rigetta tutto ciò che riguarda la Germania e rinnega in toto la Rivoluzione francese.
Nel 1931 Brasillach viene incaricato di curare la pagina letteraria di Action française; la sua prima connotazione politica è dunque conservatrice, monarchica e nazionalista. Parla con il conte di Parigi nel castello di Anjou e dall’iniziale simpatia passa alla delusione che il conte si procura per la sua estraneità a ciò che riguarda la sua gente.
Anche Robert Brasillach come Berto Ricci ha una certa tendenza anarchica: «Avevamo diciott’anni, le idee un po’ confuse e non poco disgusto del mondo moderno – nonché una certa propensione di fondo per l’anarchia».
Nel frattempo si allontana dalle posizioni sterili di Maurras, troppo dogmatiche ed attempate per avere la forza di dominare gli eventi che gli si propongono. Resta comunque il fatto che non si può «trovare nulla che rappresentasse meglio dell’Action française la giovinezza del nazionalismo, una sorte di prefascismo già nell’aria, l’unione d’una dottrina sociale forte e dell’intelligenza nazionale, lo sapevano persino i comunisti […]».
Dopo la marcia su Roma (1922) e la vittoria di Hitler alle elezioni del 1933, la tentazione fascista raggiunge la Francia: il 6 febbraio 1934 a Parigi una folla furiosa e stanca dei soprusi dei politici corrotti si raduna davanti il palazzo del governo. La democrazia francese sembra avere le ore contate ma la polizia spara sui manifestanti e i morti cadono sul selciato umido di pioggia. Brasillach e lì, in prima fila tra i manifestanti… la sua esecuzione avverrà il 6 febbraio 1945, il destino.
Viaggia e conosce l’Italia del fascismo con i bimbi che cantano ridendo per le strade. Va a Norimberga e subisce la stessa impressione: nel fascismo tutto è per la gioventù. Dopo aver visitato la Germania rompe definitivamente col movimento monarchico al quale manca l’intelligenza politica e il prestigio della vittoria proprie del fascismo. Con la parola «fascismo» Brasillach non intende il fascismo italiano, anzi, critica alcune scelte di Mussolini senza mezzi termini; un giorno, intervenendo ad una conferenza di studenti protestanti afferma: «Il regime ideale sarebbe quello che riuscisse a conciliare le idee di grandezza, di socialismo nazionale, di esaltazione della gioventù, e di autorità dello Stato, che mi sembrano proprie del Fascismo, con il rispetto della libertà individuale che è appannaggio incontestabile della costituzione inglese». Robert Brasillach è, però, prima di tutto un letterato: ha scritto romanzi, poesie, opere teatrali ed anche una storia del cinema; conquista una certa fama nell’ambiente letterario con il saggio Corbeille.
Dalle pagine di Je suis partout scongiura la guerra chiedendo ai lettori se vale la pena morire per Danzica. Niente da fare, la Francia dichiara guerra alla Germania ed inizia così la Seconda guerra mondiale. Brasillach è costretto a partire per il fronte come riservista. Dopo un anno di prigionia torna a casa e continua a dirigere il Je suis partout. Coerentemente a quanto affermava in passato sostiene un’intesa con la Germania per costruire un Nuovo ordine europeo. La situazione militare si capovolge: gli anglo-americani invadono la Francia. Brasillach è costretto a rifugiarsi in una soffitta. I partigiani francesi lo cercano disperatamente; non trovandolo arrestano la madre e minacciano di ucciderla se Robert non si consegna. Per amore della madre si consegna ai partigiani che lo imprigionano e dopo un processo farsa lo condannano a morte perché, come disse il pubblico accusatore, «i suoi articoli fecero più male alla Resistenza francese di un battaglione della Wehrmacht». Nessun crimine di guerra, nessun omicidio, solo «politicamente scorretto».
Prima di morire scrive dei pensieri sotto forma di lettera (Lettera ad un soldato della classe ‘40) e delle bellissime poesie (Poemi di Fresnes). Non ha paura di morire, gli dispiace solo di lasciare i propri cari e di essere dimenticato dai più giovani. Viene condotto al plotone d’esecuzione la mattina del 6 febbraio 1945; prima di morire grida: «Coraggio!» e «Viva la Francia!».