
“Codice Fini”: lealtà in movimento
di Carmelo Briguglio
Con l’intervista a Lucia Annunziata del giorno prima e l’incontro di ieri con i parlamentari a lui vicini, Gianfranco Fini ha voluto dare uno sbocco positivo alla riunione della Direzione del Pdl. Evento “drammatico”, per le tante ragioni politiche e le spiegazioni mediatiche che sono state date da più parti, che resterà scritto nella storia politica del Paese e forse nei futuri manuali di comunicazione politica. Sgombrando il campo dalle forzate interpretazioni del solito fuoco “nemico”, col saggio Ferrara in controtendenza, ma anche da analisi di ambienti nostri più politologiche che politiche, è il caso di fare qualche immediata riflessione.
Comprendiamo che molti commentatori e media ora annuncino come novità l’indicazione della lealtà al governo e al premier che il Presidente della Camera ha dato come start up all’area nata con l’incontro dell’altro giorno all’Auditorium. Dopo quanto accaduto era una delle opzioni possibili. Ma l’altra che vedrebbe in prospettiva governi tecnici o istituzionali contro Berlusconi e fuori dal Pdl,non è mai passata per la mente di Fini.
Se c’è una categoria morale e culturale che contraddistingue la destra “eterna” oltre che moderna di Fini e che unifica quanti si riconoscono nella minoranza (oggi) politica e culturale che egli ha voluto fondare nel Popolo della Libertà, è la lealtà. La lealtà è il codice simbolico e politico che, dopo e nonostante svolte ed evoluzioni, unisce Fini ai suoi, a tutti i suoi, di prima e di dopo, da qualunque storia politica o latitudine culturale provengano. Se non si capisce questo dato, direi “genetico”, si comprende poco o si finisce per equivocare o peggio banalizzare quanto accade nell’arena del confronto tra Berlusconi e Fini e dentro il partito che i due hanno fondato. Fini sa di avere dato una parola d’ordine che ciascuno dei suoi, ciascuno di noi, comprende per intuizione ancor prima che per ragionamento e motivazione politica. E’ l’unica indicazione che non sarà né discussa né trasgredita. Perché è sentita, anzi pre-sentita, ancor prima di essere ascoltata. Da lui e da noi.
Si parla dei giorni futuri. In particolare si fanno previsioni sull’iter dei provvedimenti che verranno presto in Parlamento, a
cominciare da quelli che riguardano la giustizia o altri dossier caldi. Ci si chiede: come si comporteranno i “finiani” o meglio la minoranza del Pdl come è più corretto ormai dire? Domanda legittima ma viziata, se non è preceduta da un’altra. Come si sono comportati i parlamentari più vicini al Presidente della Camera nei due anni, in ben due anni, che ci separano dall’inizio della legislatura? Con lealtà. Sempre. Questa è la risposta che nessuno può né mettere in discussione, né smentire. In tutte le occasioni, in tutte le leggi, in tutte le conversioni di decreti-legge (troppi?), in tutte le votazioni di fiducia (tante). Con lealtà. E alcune volte, “finiani” e non, con non pochi mal di pancia. Inutile spiegare perché. Lo sappiamo tutti.
Vogliamo dirlo? Se in questi due anni di lavoro in Parlamento abbiamo peccato, abbiamo peccato in generosità e amor di patria.E allora? Come si pensa che la minoranza del Pdl si comporterà nelle aule parlamentari al momento del voto, di qualunque voto? Esattamente come si è comportata nei due anni trascorsi. Con lealtà, con la massima lealtà. Ma anche con una nuova responsabilità, quella di minoranza portatrice di un messaggio politico e culturale nel Pdl, nel centrodestra e nel Paese. Una responsabilità che ci impone una lealtà la quale richiede dentro il partito e nei gruppi parlamentari democrazia interna, discussione preventiva, luoghi e spazi di confronto, fine della evocazione di epurazioni, suicide per la credibilità di un grande partito che si riconosce nel programma e nella carta dei valori del Ppe. Non lo chiediamo come contropartita, perché la lealtà è il riflesso di un codice cavalleresco che, ieri e oggi, non richiede contropartite. Ma abbiamo bisogno di una lealtà non statica, ma che muova il Pdl e metta tutto e tutti in movimento. La lealtà chiama lealtà. E rafforza i legami, dentro e fuori, di un partito ancora fragile. Noi lo vogliamo forte.
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